Il Santo Rosario

L'Eucarestia

Somma Teologica III, q. 83

Il rito di questo sacramento

Veniamo finalmente a considerare il rito di questo sacramento.
Su questo tema esamineremo sei argomenti: 1. Se nella celebrazione di questo sacramento ci sia l'immolazione di Cristo; 2. Il tempo della celebrazione; 3. Il luogo e le altre cose che si riferiscono all'apparato di questa celebrazione; 4. Le parole che accompagnano la celebrazione di questo mistero; 5. Le cerimonie che si compiono nella celebrazione di questo mistero; 6. I difetti che possono capitare nella celebrazione di questo sacramento.

ARTICOLO 1

Se nella celebrazione di questo sacramento Cristo venga immolato

SEMBRA che nella celebrazione di questo sacramento Cristo non venga immolato. Infatti:
1. L'Apostolo afferma che "Cristo con una sola oblazione ha reso perfetti per sempre coloro che vengono santificati". Ora, quell'oblazione fu la sua immolazione. Dunque Cristo non s'immola nella celebrazione di questo sacramento.

2. L'immolazione di Cristo si compì sulla croce, dove "egli diede se stesso per noi quale oblazione e sacrificio a Dio in soave odore", come dice S. Paolo. Ma nella celebrazione di questo mistero Cristo non viene crocifisso. Dunque non viene neppure immolato.
3. Come dice S. Agostino, nell'immolazione di Cristo identico è il sacerdote e la vittima. Ma nella celebrazione di questo sacramento il sacerdote e la vittima non sono la stessa persona. Dunque la celebrazione di questo sacramento non è un'immolazione di Cristo.

IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Una volta per sempre Cristo immolò se stesso direttamente e tuttavia egli s'immola ogni giorno nel sacramento".

RISPONDO: La celebrazione di questo sacramento può essere considerata un'immolazione di Cristo per due motivi. Primo, perché, come osserva S. Agostino, "le immagini delle cose si è soliti chiamarle con il nome delle cose stesse: guardando, p. es., un quadro o una parete dipinta diciamo: Quello è Cicerone, quello è Sallustio". Ora, la celebrazione di questo sacramento, come si disse sopra, è un'immagine rappresentativa della passione di Cristo che è una vera immolazione. Di qui le parole di S. Ambrogio: "In Cristo la vittima si offrì una volta sola, valida per l'eterna salvezza. Noi dunque che cosa facciamo? Non offriamo forse il sacrificio ogni giorno, quale commemorazione della sua morte?".
Secondo, per i suoi legami con gli effetti della passione; cioè in quanto mediante questo sacramento diveniamo partecipi del frutto della passione del Signore. In tal senso così si esprime un'orazione segreta domenicale: "Ogni volta che si celebra la commemorazione di questa vittima, si compie l'opera della nostra redenzione".
Perciò in base al primo motivo si può dire che Cristo s'immolava anche nelle figure dell'Antico Testamento; e in tal senso nell'Apocalisse si legge: "I nomi dei quali sono scritti nel libro di vita dell'Agnello, il quale è stato ucciso fin dall'origine del mondo". Per il secondo motivo invece l'immolazione di Cristo è propria della celebrazione di questo sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Ambrogio, "unica è la vittima", offerta da Cristo e da noi, "e non molte, essendosi il Cristo immolato un'unica volta; ma il sacrificio attuale è l'immagine del suo sacrificio. Come infatti è un solo corpo quello che si offre dovunque e non molti corpi, così unico è anche il sacrificio".
2. Come la celebrazione di questo sacramento è l'immagine rappresentativa della passione di Cristo, così l'altare è l'immagine della sua croce, sulla quale Cristo s'immolò fisicamente.
3. Per la stessa ragione anche il sacerdote è immagine di Cristo, in persona e in virtù del quale, come abbiamo già notato, pronunzia le parole della consacrazione. Cosicché in qualche modo abbiamo l'identità tra il sacerdote e la vittima.

ARTICOLO 2

Se sia stato opportunamente stabilito il tempo della celebrazione di questo mistero

SEMBRA che il tempo della celebrazione di questo mistero non sia stato opportunamente stabilito. Infatti:
1. Questo sacramento rappresenta la passione del Signore, come si è detto. Ma la commemorazione della passione del Signore si fa nella Chiesa una volta sola all'anno; scrive infatti S. Agostino: "Forse che Cristo viene ucciso tante volte quante volte si celebra la Pasqua? Ma il ricordo annuale rappresenta ciò che avvenne una volta, e ci commuove come se vedessimo il Signore pendere dalla croce". Dunque questo sacramento non si deve celebrare che una volta all'anno.

2. La passione di Cristo viene commemorata dalla Chiesa il venerdì santo e non nella festa di Natale. Essendo dunque l'Eucarestia commemorativa della passione del Signore, non è opportuno che il giorno del Natale si celebri tre volte questo sacramento, e che il venerdì Santo invece si ometta del tutto.
3. Nella celebrazione di questo sacramento la Chiesa deve imitare la sua istituzione fatta da Cristo. Ma Cristo consacrò questo sacramento nelle ore serali. Dunque questo sacramento va celebrato di sera.
4. Il Papa S. Leone scrive a Dioscoro, vescovo di Alessandria, che è permesso celebrare la messa "nella prima parte del giorno". Ma il giorno incomincia dalla mezzanotte, come abbiamo notato sopra. Dunque si può celebrare anche subito dopo la mezzanotte.
5. In un'orazione segreta domenicale si dice: "Concedici Signore, di frequentare questi misteri". Ma la frequenza sarà maggiore, se il sacerdote celebra più volte al giorno. Dunque non dovrebbe essere proibito ai sacerdoti di celebrare più volte al giorno.

IN CONTRARIO: Abbiamo la consuetudine seguita dalla Chiesa secondo le leggi canoniche.

RISPONDO: Nella celebrazione di questo mistero si deve tener conto, sia della rappresentazione della passione del Signore, sia della partecipazione dei suoi frutti. Sotto ambedue gli aspetti fu bene che si stabilisse il tempo conveniente alla celebrazione di questo sacramento. Ora, poiché del frutto della passione del Signore abbiamo bisogno ogni giorno per i nostri quotidiani difetti, nella Chiesa ogni giorno ordinariamente si offre questo sacramento. Cosicché il Signore stesso c'insegnò a chiedere: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano"; parole che S. Agostino così commenta: "Se il pane deve essere quotidiano, perché lo ricevi dopo un anno, come sono soliti fare i Greci in Oriente? Ricevilo quotidianamente, perché quotidianamente ti giovi". - E poiché la passione del Signore si compì dall'ora terza all'ora nona, d'ordinario la celebrazione solenne di questo sacramento la Chiesa la compie nelle suddette ore del giorno.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In questo sacramento la passione di Cristo viene ricordata in quanto i suoi effetti si applicano ai fedeli. Invece nella settimana di passione essa viene commemorata solo in quanto la passione stessa si compì direttamente nel nostro Capo. Ora, questo avvenne una sola volta, mentre i fedeli ricevono il frutto della passione del Signore ogni giorno. Ecco perché la commemorazione unica si fa una volta l'anno; mentre questo sacramento si celebra ogni giorno, sia per i suoi frutti che per il ricordo continuo.
2. È giusto che alla presenza della realtà cessi la figura. Ora, l'Eucarestia è figura e immagine della passione del Signore, come sopra abbiamo visto. Perciò nel giorno in cui si ricorda la passione stessa del Signore come si svolse realmente, non va celebrata la consacrazione di questo sacramento. Tuttavia, affinché la Chiesa nemmeno in quel giorno rimanga senza il frutto della passione applicato a noi per mezzo di questo sacramento, il corpo di Cristo consacrato il giorno precedente si conserva per la comunione del venerdì. Non però il sangue, per evitare il pericolo di versarlo: e poi perché il sangue è in modo più speciale immagine della passione del Signore, come si disse sopra. E non è vero quanto asseriscono alcuni, che quando la particola del corpo viene a contatto col vino, il vino si converta in sangue. Ciò infatti non può avvenire che mediante la consacrazione compiuta con la debita formula.

Nel giorno di Natale poi vengono celebrate più messe per la triplice nascita di Cristo. Una è quella eterna: che per noi rimane occulta. Ecco perché una messa viene cantata di notte e nel suo introito si legge: "Il Signore mi disse: Tu sei il mio figlio: oggi ti ho generato". - La seconda nascita è temporale, ma spirituale: ed è quella in cui Cristo, come si esprime S. Pietro, "nasce quale stella del mattino nei nostri cuori". Per questo una messa si canta all'aurora, e nel suo introito si dice: "La luce splenderà oggi sopra di noi". - La terza nascita di Cristo è quella temporale e corporea, in cui egli uscì visibile per noi dal seno verginale rivestito di carne. Per questo si canta una terza messa in pieno giorno, e nel suo introito si legge: "Per noi è nato un bambino". - Però si potrebbe anche dire, invertendo l'ordine, che la nascita eterna è per se stessa nella piena luce; e per questo la nascita eterna forma l'oggetto del Vangelo alla terza messa. Secondo poi la nascita corporale il Signore propriamente nacque di notte, per indicare che veniva a rischiarare le tenebre della nostra miseria: e per questo nella messa della notte si legge il Vangelo della nascita corporale di Cristo.
Anche in altri giorni, in cui occorrono diversi benefici divini, o da ricordare, o da chiedere, si celebrano più messe nello stesso giorno: p. es., una per la festa, un'altra per il digiuno, oppure per i morti.
3. Cristo, come si disse, volle dare da ultimo ai suoi discepoli questo sacramento, perché s'imprimesse più profondamente nei loro cuori. Ecco perché consacrò questo sacramento dopo la cena e alla fine della giornata per darlo ai suoi discepoli. Noi invece lo celebriamo nell'ora della passione del Signore: cioè nei giorni di festa all'ora di terza quando fu crocifisso per bocca dei Giudei, come dice S. Marco, e quando lo Spirito Santo discese sui discepoli: nei giorni ordinari all'ora di sesta, quando fu crocifisso dalle mani dei soldati, come si legge in S. Giovanni; e nei giorni di digiuno all'ora di nona quando "gridando a gran voce rese lo spirito", come dice S. Matteo.
Tuttavia si può celebrare anche più tardi, specialmente quando ci sono da fare le ordinazioni e soprattutto il Sabato Santo, sia per la lunghezza dell'ufficio, sia perché gli ordini sacri appartengono alla domenica, come dice il Decreto. Però per qualche necessità, a norma dei canoni, si possono sempre celebrare le messe anche "nella prima parte del giorno".
4. Ordinariamente la messa va celebrata di giorno e non di notte, perché in questo sacramento è presente Cristo medesimo, il quale ha detto: "Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno. Poi viene la notte, quando nessuno può operare. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo". L'inizio del giorno però non deve computarsi dalla mezzanotte né dalla levata del sole, cioè da quando la sfera dell'astro compare sulla terra; ma da quando comincia l'aurora. Perché allora in certo senso il sole può dirsi sorto, in quanto appare la luce dei suoi raggi. E parlando in tal senso S. Marco afferma che le donne andarono al sepolcro "essendo sorto già il sole"; mentre invece secondo S. Giovanni esse andarono al sepolcro "quando ancora c'erano le tenebre"; è appunto così che S. Agostino risolve l'apparente contraddizione nel De Consensu Evangelistarum.

Eccezionalmente però si celebra la messa nella notte di Natale, perché il Signore nacque di notte, come spiega il Decreto. - Così pure il Sabato santo si celebra la messa all'inizio della notte, perché il Signore risorse di notte, cioè "quando era ancora buio", prima dell'apparire manifesto del sole.
5. Nei Canoni si legge la seguente disposizione del Papa Alessandro II: "Basta una sola messa al giorno, perché Cristo morendo una sola volta redense tutto il mondo; ed è ben felice chi è in grado di celebrare una volta in modo degno. Alcuni tuttavia ne celebrano una per i defunti e un'altra del giorno, se è necessario. Coloro poi che per denaro o per compiacere ai secolari osano in un medesimo giorno celebrare più messe, penso che non sfuggano alla dannazione". E Innocenzo III dice che "eccetto il giorno della Natività del Signore, se non interviene un motivo di necessità, il sacerdote deve contentarsi di celebrare una sola messa al giorno".

ARTICOLO 3

Se occorra celebrare questo sacramento al coperto e con vasi sacri

SEMBRA che non occorra celebrare questo sacramento al coperto e con vasi sacri. Infatti:
1. Questo sacramento rappresenta la passione del Signore. Ma il Cristo non morì al coperto, bensì fuori della porta della città, come dice l'Apostolo: "Gesù per santificare con il suo sangue il popolo, soffrì fuori della porta". Dunque questo sacramento non si deve celebrare al coperto, ma piuttosto all'aperto.

2. Nella celebrazione di questo sacramento la Chiesa deve imitare la condotta di Cristo e degli Apostoli. Ma la casa in cui per la prima volta istituì Cristo questo sacramento non era consacrata, essendo una comune sala da pranzo, preparata da un capofamiglia, come si legge in S. Luca. E negli Atti si legge, che "gli Apostoli erano assidui al tempio, e spezzando il pane nelle loro case se ne cibavano con allegrezza". Perciò neppure adesso occorre che siano consacrati gli edifici dove si celebra questo sacramento.
3. Niente d'inutile deve farsi nella Chiesa che è governata dallo Spirito Santo. Ma è inutile fare la consacrazione di una chiesa, di un altare o di cose simili inanimate, che sono incapaci di ricevere la grazia o la virtù spirituale. Tali consacrazioni dunque non hanno ragion d'essere nella Chiesa.
4. Soltanto le opere divine devono commemorarsi con solennità, secondo l'espressione del Salmista: "Esulterò per le opere delle tue mani". Ma la chiesa e l'altare ricevono la consacrazione per opera di un uomo: così pure il calice, i ministri, ecc. Ora, queste ultime consacrazioni non vengono commemorate con solennità dalla Chiesa. Perciò non deve commemorarsi solennemente neppure la consacrazione di una chiesa o di un altare.
5. La realtà deve corrispondere alla figura. Ma nel vecchio Testamento, che simboleggiava il nuovo, l'altare non si faceva di pietre tagliate, a norma dell'Esodo: "Mi farete un altare di terra; non lo farai di pietre levigate". Anzi altrove nell'Esodo si prescrive di fare "un altare in legno di setim", ricoperto "di bronzo", oppure "di oro". Non è opportuna dunque la prescrizione della Chiesa che gli altari siano soltanto di pietra.
6. Il calice con la patena rappresenta il sepolcro di Cristo. Ma questo "era scavato nel sasso", come dicono gli Evangelisti. Perciò il calice dovrebbe essere di pietra e non soltanto di argento, d'oro, o di stagno.

7. Come l'oro è la materia più preziosa per i vasi, così la seta è la stoffa più preziosa per gl'indumenti. Quindi come il calice si fa con l'oro, così le tovaglie dell'altare dovrebbero essere di seta e non semplicemente di lino.
8. L'amministrazione e la regolamentazione dei sacramenti è di competenza dei ministri della Chiesa, come l'amministrazione delle cose temporali sottostà alle norme dei principi secolari. Di qui le parole dell'Apostolo: "Ci considerino come ministri di Cristo e come amministratori dei misteri di Dio". Ora, nell'amministrazione delle cose temporali quello che si fa contro gli statuti dei principi è invalido. Dunque, ammesso che le prescrizioni ricordate siano convenientemente imposte dai superiori ecclesiastici, non si può celebrare validamente, senza la loro osservanza. E allora ne segue che le parole di Cristo non sono sufficienti a consacrare questo sacramento: il che è inammissibile. È evidente quindi che le prescrizioni stabilite circa la celebrazione di questo sacramento sono inopportune.

IN CONTRARIO: Le norme stabilite dalla Chiesa risalgono a Cristo stesso, il quale ha detto: "Dovunque due o tre persone sono riunite nel mio nome, là io sono in mezzo a loro".

RISPONDO: Le cose che accompagnano la celebrazione eucaristica possono avere due scopi: il primo è quello di rappresentare quanto avvenne nella passione del Signore; l'altro è un motivo di rispetto verso questo sacramento, nel quale Cristo è presente secondo verità e non solo in figura. Di conseguenza anche le consacrazioni delle cose che si adoperano per questo sacramento, si fanno tanto per il rispetto dovuto al sacramento, quanto per rappresentare l'effetto di santità proveniente dalla passione di Cristo; secondo le parole dell'Apostolo: "Gesù per santificare il popolo con il suo sangue, ecc.".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Regolarmente questo sacramento deve celebrarsi dentro un edificio, che sta a significare la Chiesa, conforme alle parole di S. Paolo: "Sappi come regolarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente". Perché "fuori della Chiesa non c'è posto per il vero sacrificio", come osserva S. Agostino. E poiché la Chiesa non doveva restringersi ai confini della nazione giudaica, ma doveva stabilirsi in tutto il mondo, conseguentemente la passione di Cristo non si svolse dentro la città di Gerusalemme, ma all'aperto, cosicché tutto il mondo facesse da casa alla passione di Cristo.
Tuttavia, come è previsto nel Decreto, "è concesso a coloro che sono in viaggio, se manca la chiesa, di celebrare la messa all'aperto o sotto una tenda, purché si abbia la pietra consacrata e l'altra sacra suppellettile occorrente".
2. Poiché l'edificio in cui si celebra questo sacramento sta a significare la Chiesa, e si chiama chiesa, è giusto che venga consacrato: sia per rappresentare la santità conseguita dalla Chiesa per i meriti della passione di Cristo; sia per significare la santità richiesta in coloro che devono ricevere questo sacramento. - L'altare poi significa il Cristo medesimo, di cui l'Apostolo dice: "Per lui offriamo a Dio un sacrificio di lode". Quindi la consacrazione dell'altare indica la santità di Cristo, di cui si legge: "L'essere santo che nascerà da te, sarà chiamato figlio di Dio". Perciò il Decreto prescrive: "Gli altari siano consacrati non solo con l'unzione del crisma, ma anche con la benedizione sacerdotale".
Regolarmente quindi, a norma dei Canoni, non è lecito celebrare questo sacramento se non dentro edifici consacrati: "Nessun sacerdote osi celebrare la messa fuori dei luoghi consacrati dal vescovo". E per lo stesso motivo, poiché i pagani e gli altri infedeli non appartengono alla Chiesa, nel medesimo Decreto si legge: "Non è lecito consacrare una chiesa nella quale si seppelliscano cadaveri d'infedeli; se essa si presta a essere consacrata, si riadatti allo scopo, dopo aver tolto i cadaveri e raschiate le pareti di muro o di legno. Se la chiesa è stata prima consacrata e poi adibita a cimitero, si può in essa celebrare, purché fossero fedeli coloro che vi sono stati sepolti".
Tuttavia in caso di necessità questo sacramento può celebrarsi anche in edifici non consacrati o violati: però con il consenso del vescovo: "Ordiniamo che la messa non si celebri dovunque, ma in luoghi consacrati dal vescovo o da lui consentiti". Sempre però si celebri sull'altare portatile consacrato, a norma dei Canoni: "Concediamo, se le chiese sono state incendiate, di celebrare la messa nelle cappelle su una tavola consacrata". Perché, essendo la santità di Cristo fonte di tutta la santità della Chiesa, in caso di bisogno basta alla celebrazione di questo sacramento l'altare consacrato. Questa è la ragione per cui non si consacra mai una chiesa, senza consacrarne l'altare: invece qualche volta, anche senza consacrare la chiesa, si consacra l'altare con le reliquie dei santi, "la cui vita è nascosta con Cristo in Dio". Si legge perciò nel Decreto: "Ordiniamo che gli altari dove non risulti sepolto nessun corpo né reliquia di martiri, possibilmente siano abbattuti dai vescovi del luogo".

3. Chiesa, altare e altre cose inanimate ricevono la consacrazione, non perché capaci di ricevere la grazia, ma perché con la consacrazione acquistano una virtù spirituale che le rende atte al culto divino: così infatti esse ispirano agli uomini una certa devozione, in modo che siano meglio disposti alle cose di Dio, se ciò non è impedito da irriverenza. A tal proposito nella Scrittura si legge: "In quel luogo c'è veramente la virtù di Dio; poiché colui che abita nei cieli visita e protegge quel luogo".
È per questo che le suddette cose prima della consacrazione vengono purificate ed esorcizzate, per sottrarle alla virtù del demonio. Per la stessa ragione vengono riconciliate le chiese, "che siano state macchiate con spargimento di sangue o di sperma umano": perché il peccato ivi commesso rivela un influsso demoniaco. Anche nel Decreto si legge in proposito: "Dovunque troviate chiese di ariani, consacratele senza indugio come chiese cattoliche, con le preghiere sacre e i riti prescritti".
Ecco perché alcuni ritengono con ragione che in una chiesa consacrata si ottiene la remissione dei peccati veniali, come con l'aspersione dell'acqua benedetta; citando le parole del Salmista: "Hai benedetto Signore, la tua terra; hai rimesso l'iniquità del tuo popolo".
Per la virtù che la consacrazione conferisce alla chiesa, tale consacrazione non si può ripetere. Di qui la prescrizione del Concilio Niceno: "Non si deve rinnovare la consacrazione delle chiese consacrate a Dio, se non nel caso che siano state bruciate, oppure macchiate da spargimento di sangue o di sperma umano; perché, come non si deve mai ribattezzare un bambino battezzato già nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, così non si può riconsacrare un luogo dedicato a Dio, se non nei casi sopra elencati; purché chi lo consacrò avesse la fede nella santa Trinità". Altrimenti sì, perché coloro che sono fuori della Chiesa non possono consacrare. Anzi nel medesimo codice si legge: "Le chiese e gli altari dubbiamente consacrati, si consacrino".
Per il fatto che la consacrazione conferisce una virtù spirituale a queste cose, nello stesso Decreto si stabilisce: "Il legname di una chiesa consacrata non si usi per altri scopi, ma solo per un'altra chiesa, oppure sia bruciato o destinato a vantaggio dei frati di un monastero; mai però può essere adibito a usi profani". E ancora: "Le tovaglie dell'altare, la cattedra, il candelabro e il velo, quando siano consunti dal tempo, si brucino e le loro ceneri si gettino nel battistero, oppure si seppelliscano nelle pareti o in fosse sotto il pavimento, perché non siano profanate dai piedi di coloro che entrano in chiesa".
4. Poiché la consacrazione dell'altare significa la santità di Cristo, e la consacrazione dell'edificio significa la santità di tutta la Chiesa, è conveniente ricordare con solennità la consacrazione di una chiesa o di un altare. Inoltre la solennità della dedicazione dura otto giorni, per indicare la beata resurrezione di Cristo e dei membri della Chiesa. Né la consacrazione di una chiesa o di un altare è opera dell'uomo soltanto, in quanto implica una virtù soprannaturale. Il Decreto perciò prescrive: "Si celebri ogni anno solennemente la festa della dedicazione della chiesa. Che poi la dedicazione debba durare otto giorni si trova nel III Libro dei Re, nel racconto della dedicazione del tempio", cioè al cap. 8, 66.
5. Nei Canoni si legge: "Gli altari non si consacrino col crisma, se non sono di pietra". E ciò prima di tutto lo richiede il simbolismo dell'Eucarestia: sia perché l'altare significa il Cristo, e S. Paolo afferma: "La pietra era il Cristo"; sia perché il corpo di Cristo fu sepolto in un sepolcro di pietra. Lo richiede poi anche l'uso universale del sacramento: infatti la pietra è solida e facile a trovarsi dovunque. Questo non era necessario nell'antica legge, perché allora l'altare era in un luogo soltanto. - L'antica prescrizione poi di fare l'altare di terra o di pietre non levigate aveva lo scopo d'impedire l'idolatria.
6. Nel medesimo Decreto si legge: "I sacerdoti anticamente si servivano di calici non d'oro, ma di legno. Poi il Papa Zefirino prescrisse di celebrare la messa con patene di vetro; in seguito Urbano fece fare tutto d'argento". In seguito fu stabilito che il calice del Signore con la patena sia fatto tutto d'oro o d'argento, o che per lo meno il calice sia di stagno. Non sia però di bronzo né di oricalco; perché sotto l'azione del vino arrugginisce, e provoca il vomito. Nessuno poi osi cantare la messa con calice di legno o di vetro; perché il legno è poroso e rimarrebbe in esso il sangue consacrato; mentre il vetro è fragile e potrebbe rompersi. Lo stesso vale per la pietra. Perciò per rispetto verso il sacramento fu stabilito che il calice sia fatto della materia suddetta.

7. La Chiesa, quando si è potuto fare senza pericolo, ha prescritto nei riguardi dell'Eucarestia ciò che meglio rappresenta la passione di Cristo. Ora, per il corpo che si pone sul corporale non si corre tanto pericolo quanto per il sangue contenuto nel calice. Quindi, pur escludendo il calice di pietra, il corporale è bene che sia di lino, che è il panno in cui fu involto il corpo di Cristo. Di qui le parole del Papa Silvestro, riferite dal Decreto: "Per consiglio di tutti stabiliamo che nessuno osi celebrare il sacrificio dell'altare con panni di seta o colorati, ma celebri con panni di puro lino benedetti dal vescovo, come il corpo di Cristo fu sepolto in una candida sindone di lino". - Inoltre il panno di lino è indicato anche per la sua bianchezza a significare la purità di coscienza; e per il molto lavoro necessario a prepararlo sta a significare la passione di Cristo.
8. L'amministrazione dei sacramenti è di competenza dei ministri della Chiesa, ma la loro consacrazione viene da Dio stesso. Perciò i ministri della Chiesa non possono disporre niente circa la forma della consacrazione; ma possono disporre circa l'uso del sacramento e il modo di celebrarlo. Se un sacerdote quindi proferisce le parole della consacrazione sulla debita materia con l'intenzione di consacrare, facendo a meno di tutto il resto, cioè dell'edificio sacro, dell'altare, del calice e del corporale consacrati e delle altre suppellettili prescritte dalla Chiesa, consacra senza dubbio realmente il corpo di Cristo, ma pecca gravemente non rispettando il rito della Chiesa.

ARTICOLO 4

Se siano adatte le formule verbali che accompagnano questo sacramento

SEMBRA che non siano adatte le formule verbali che accompagnano la celebrazione di questo sacramento. Infatti:
1. Questo sacramento, come osserva S. Ambrogio, viene consacrato con le parole di Cristo. Dunque in esso non devono proferirsi altre parole all'infuori di quelle di Cristo.
2. Le parole e le azioni di Cristo noi le conosciamo dal Vangelo. Ora, alcune espressioni che si dicono nella celebrazione di questo sacramento, non si trovano nei Vangeli. Infatti non vi si legge che Cristo consacrando questo sacramento abbia alzato gli occhi al cielo; così pure nei Vangeli è detto: "Prendete e mangiate", ma non c'è "tutti"; mentre nella celebrazione di questo sacramento si legge: "Alzati gli occhi al cielo", e successivamente: "Prendete e mangiatene tutti". Dunque codeste parole non sono al loro posto nella celebrazione di questo sacramento.
3. Tutti gli altri sacramenti sono destinati anch'essi alla salvezza di tutti i fedeli. Ma nella celebrazione degli altri sacramenti non si fa una preghiera comune per la salvezza di tutti i fedeli vivi e defunti. Dunque non è giusto che si faccia in questo sacramento.
4. Il battesimo è in modo speciale "sacramento della fede". Quindi quanto riguarda l'istruzione nella fede, ossia l'insegnamento degli Apostoli e del Vangelo, va impartito in preparazione al battesimo piuttosto che durante la celebrazione dell'Eucarestia.
5. La devozione dei fedeli si richiede in ogni sacramento. Essa quindi non si deve stimolare più in questo che negli altri sacramenti con le lodi divine e con le esortazioni, dicendo, p. es.: "Innalziamo i nostri cuori".
6. Ministro di questo sacramento è il sacerdote, come si è spiegato. Quindi ciò che vien detto nella celebrazione di questo sacramento, dovrebbe essere proferito tutto dal sacerdote: non già parte dai ministri, e parte dal coro.
7. Questo sacramento viene compiuto con efficacia infallibile dalla virtù divina. Perciò è inutile che il sacerdote ne chieda il compimento con quelle parole: "La quale oblazione tu, o Dio, ecc.".
8. Il sacrificio della nuova legge è molto superiore a quelli degli antichi Patriarchi. Dunque non è ragionevole che il sacerdote chieda che questo sacrificio sia accetto come il sacrificio di Abele, di Abramo e di Melchisedec.
9. Il corpo di Cristo come non diviene presente in questo sacramento, secondo le spiegazioni date, mediante una mutazione di luogo, così neppure cessa di esservi presente con un moto locale. Perciò non ha senso quella preghiera del sacerdote: "Comanda che per le mani del tuo angelo santo questi doni siano portati sul tuo altare del cielo".

IN CONTRARIO: Si legge nel Decreto: "Giacomo, fratello del Signore secondo la carne, e Basilio vescovo di Cesarea redassero la celebrazione della messa". Attesa la loro autorità, è evidente l'opportunità di ciascuna formula verbale usata in questo sacramento.

RISPONDO: Nell'Eucarestia si compendia tutto il mistero della nostra salvezza: perciò essa si celebra con maggiore solennità degli altri sacramenti. E, poiché sta scritto: "Bada ai tuoi passi nell'avviarti alla casa del Signore", e: "Prima della preghiera disponi l'anima tua", nella celebrazione di questo mistero innanzi tutto si premette una preparazione che disponga a compiere degnamente gli atti successivi. Primo atto di tale preparazione è la lode divina che si esprime nell'introito, conforme alle parole del Salmo: "Il sacrificio di lode mi onora, e questa è la via per cui gli mostrerò la salvezza di Dio". E il più delle volte il brano si prende dai Salmi, o almeno si canta intercalato con un salmo, perché, come osserva Dionigi, "i Salmi comprendono sotto forma di lode tutto quello che è contenuto nella Sacra Scrittura". - Il secondo atto rammenta la miseria della vita presente, invocando la misericordia divina, col dire tre volte "Kyrie eleison" per la persona del Padre; tre volte "Christe eleison" per la persona del Figlio; e ancora tre volte "Kyrie eleison" per la persona dello Spirito Santo: e ciò contro la triplice miseria dell'ignoranza, della colpa e della pena; oppure per significare che tutte le Persone sono immanenti l'una nell'altra. - Il terzo atto ricorda la gloria celeste, alla quale siamo destinati dopo l'attuale miseria, dicendo il "Gloria a Dio nell'alto dei cieli". E si canta nelle festività in cui si commemora la gloria celeste, mentre viene omesso negli uffici penitenziali che commemorano le nostre miserie. - Il quarto atto contiene l'orazione che il sacerdote fa per il popolo, affinché i fedeli siano degni di così grandi misteri.
In secondo luogo, sempre a scopo preparatorio, segue l'istruzione del popolo fedele, essendo questo sacramento "un mistero di fede", come si disse sopra. Tale istruzione viene fatta inizialmente con l'insegnamento dei Profeti e degli Apostoli, che viene letto in chiesa dai lettori e dai suddiaconi. Dopo questa lettura viene cantato dal coro il graduale, che sta a significare il progresso nella virtù, e l'alleluia, che significa l'esultanza spirituale; oppure negli uffizi penitenziali si canta il tratto, che significa il gemito spirituale. Infatti sono questi i frutti che deve produrre nel popolo l'insegnamento suddetto. - In modo perfetto però il popolo viene istruito mediante l'insegnamento di Cristo contenuto nel Vangelo: esso viene letto dai ministri più alti, cioè dai diaconi. Dopo la lettura del Vangelo, poiché a Cristo crediamo come alla verità divina, secondo le parole: "Se io dico la verità, perché non mi volete credere?", si canta il Simbolo della fede, con il quale il popolo mostra l'assenso della sua fede alla dottrina di Cristo. Il simbolo però si canta nelle feste alle quali esso in qualche modo si richiama cioè nelle feste di Cristo, della Beata Vergine e degli Apostoli che fondarono la nostra fede e in feste simili.
Preparato e istruito così il popolo, si passa alla celebrazione del mistero. Esso viene offerto come sacrificio e viene consacrato e consumato come sacramento; infatti prima c'è l'oblazione; secondo, la consacrazione della materia oblata; terzo, la sua consumazione. Nell'oblazione ci sono due momenti: la lode da parte del popolo nel canto dell'offertorio, per indicare la gioia degli offerenti, e l'orazione da parte del sacerdote che prega perché l'oblazione del popolo sia accetta a Dio. Questi infatti furono i sentimenti espressi da David: "Con semplicità di cuore e con gioia io ti ho offerto tutte queste cose, e ho visto il popolo qui radunato offrirti i suoi doni con grande letizia"; e pregava dicendo: "Signore Dio, mantieni sempre in essi questa disposizione d'animo". In relazione poi alla consacrazione, che si compie per virtù soprannaturale, prima viene eccitato il popolo alla devozione con il prefazio: per questo lo si invita ad "avere il cuore in alto al Signore". Quindi al termine del prefazio il popolo loda devotamente, sia la divinità di Cristo dicendo con gli angeli: "Santo, Santo, Santo", sia la sua umanità dicendo con i fanciulli: "Benedetto colui che viene (nel nome del Signore)". - Quindi il sacerdote segretamente ricorda innanzi tutto coloro per i quali viene offerto questo sacrificio, cioè la Chiesa universale, "coloro che sono costituiti in autorità" e in modo speciale le persone "che offrono o per le quali viene offerto il sacrificio". - Poi "commemora i santi", dei quali implora il patrocinio sulle persone già ricordate sopra dicendo: "In comunione con tutta la Chiesa ricordiamo...". Finalmente conclude la sua preghiera con le parole: "Accettà questa oblazione...", chiedendo che essa sia salutare per coloro per i quali viene offerta.
Il sacerdote passa quindi alla consacrazione stessa. E chiede prima di tutto che la consacrazione raggiunga il suo effetto, dicendo: "La quale oblazione, tu, Dio, ecc.". - Secondo, compie la consacrazione con le parole del Salvatore: "Il quale il giorno prima, ecc.". - Terzo, scusa la sua presunzione, dichiarando di aver obbedito al precetto di Cristo: "Per questo ricordando noi, ecc.". - Quarto, supplica che il sacrificio compiuto sia accetto a Dio: "Degnati di riguardare propizio, ecc.". - Quinto, invoca gli effetti di questo sacrificio e sacramento: prima per quelli stessi che lo ricevono, dicendo: "Supplichevoli ti preghiamo ecc."; poi per i morti che non lo possono più ricevere: "Ricordati pure, o Signore, ecc."; infine per gli stessi sacerdoti offerenti: "Anche a noi peccatori, ecc.".
Si passa così alla consumazione del sacramento. E innanzi tutto si dispone il popolo alla comunione. Primo, con la preghiera comune di tutto il popolo che è la Preghiera Domenicale, in cui chiediamo che "ci venga dato il nostro pane quotidiano", e anche con una preghiera privata che il sacerdote recita da solo per il popolo, dicendo: "Liberaci, o Signore ecc.". - Secondo, si dispone il popolo mediante la pace, che viene data invocando l'"Agnello di Dio": l'Eucarestia è infatti il sacramento dell'unità e della pace, come sopra abbiamo visto. Invece nelle messe dei defunti, nelle quali il sacrificio non si offre per la pace presente ma per il riposo dei morti, la pace si omette.
Poi segue la consumazione del sacramento: prima il sacerdote comunica se stesso e poi gli altri, perché, come dice Dionigi, chi dà agli altri le cose divine, ne deve prima essere partecipe egli stesso.
Da ultimo tutta la celebrazione della messa termina con il ringraziamento: il popolo esulta per aver ricevuto il mistero, e tale è il significato del canto dopo la comunione; e il sacerdote celebrante rende grazie mediante l'orazione: ciò a imitazione di Cristo, il quale dopo aver celebrato la Cena con i discepoli "cantò l'inno", come narra il Vangelo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La consacrazione vien fatta con le sole parole di Cristo. Le altre invece è stato necessario aggiungerle per preparare il popolo alla comunione, come abbiamo spiegato.
2. Come nota S. Giovanni, molte sono le cose fatte e dette da Cristo che gli Evangelisti non hanno riferito. Tra queste l'avere il Signore nella Cena alzato gli occhi al cielo: cosa che la Chiesa ricevette dalla tradizione apostolica. Sembra logico del resto che se egli alzò gli occhi al Padre alla resurrezione di Lazzaro e nella preghiera che fece per i suoi discepoli, molto più l'abbia fatto nell'istituire questo sacramento, trattandosi di una cosa più importante.
Dire poi manducate al posto di comedite non cambia il senso. La scelta della locuzione non ha importanza: dato specialmente che quelle parole non fanno parte della forma, come si è detto sopra.
L'aggiunta del termine tutti è implicito nelle parole evangeliche, anche se non è espressa; poiché Cristo aveva detto: "Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo, non avrete in voi la vita".
3. L'Eucarestia è il sacramento della perfetta unità della Chiesa. quindi particolarmente in questo sacramento più che negli altri si deve rammentare tutto ciò che si riferisce alla salvezza della Chiesa intera.
4. Esistono due tipi di istruzione. La prima è quella che si dà ai novellini, cioè ai catecumeni. E tale istruzione s'impartisce in occasione del battesimo.
La seconda è l'istruzione che si dà al popolo fedele, che prende parte al mistero eucaristico. E questa si fa nella celebrazione stessa del sacramento. - Tuttavia da questa non si escludono i catecumeni e gli infedeli. Di qui le parole del Decreto: "Il vescovo non proibisca a nessuno l'ingresso in chiesa e l'ascolto della parola di Dio, anche se pagano, eretico, o giudeo, fino a tutta la messa dei catecumeni", in cui appunto si ha l'istruzione nella fede.
5. La devozione in questo sacramento si richiede più profonda che negli altri sacramenti, essendo qui presente Cristo nella sua integrità. Deve essere anche più estesa, perché in questo sacramento è necessaria la devozione di tutto il popolo per il quale si offre il sacrificio, e non soltanto quella di coloro che ricevono il sacramento, come, negli altri sacramenti. Per questo, come dice S. Cipriano, "il sacerdote con il prefazio prepara l'animo dei fratelli, dicendo: "Innalziamo i nostri cuori", affinché con la risposta: "Sono rivolti al Signore" il popolo ricordi di non dovere pensare altro che a Dio".
6. In questo sacramento come abbiamo notato sopra, si rammentano cose che interessano la Chiesa intera. Perciò alcune vengono dette dal coro: e son quelle che riguardano il popolo. Di esse alcune sono dette dal coro soltanto: cioè quelle che s'ispirano a tutto il popolo. - Altre sono continuate dal popolo dietro l'intonazione del sacerdote che rappresenta Dio: per indicare che tali verità vennero al popolo dalla rivelazione divina, come la fede e la gloria celeste. Ecco perché è il sacerdote a iniziare il simbolo della fede e il "Gloria a Dio nell'alto dei cieli". - Altre invece sono dette dai ministri, come la dottrina del nuovo e del vecchio Testamento: per indicare che questa dottrina è stata annunziata ai popoli per mezzo di ministri mandati da Dio.
Altre parole poi le dice da solo il sacerdote, quelle cioè che si riferiscono all'ufficio proprio del sacerdote di "offrire doni e preci per il popolo", come si esprime l'Apostolo. Di esse però alcune le dice a voce alta: cioè quelle che riguardano insieme il sacerdote e il popolo, come le orazioni comuni. - Altre parti invece riguardano il sacerdote soltanto: p. es., l'oblazione e la consacrazione. Quindi le formule che si riferiscono a questi riti vengono recitate dal sacerdote a bassa voce. - Tuttavia in ambedue i casi il sacerdote richiama l'attenzione del popolo dicendo: "Il Signore sia con voi", e ne attende il consenso espresso con l'Amen; Ecco perché alle parti segrete egli premette: "Il Signore sia con voi", e soggiunge : "per tutti i secoli dei secoli". - Oppure si può pensare che certe cose sono dette segretamente dal sacerdote per ricordare che durante la passione i discepoli professarono la loro fede in Cristo soltanto di nascosto.
7. L'efficacia delle parole sacramentali può essere impedita dall'intenzione del sacerdote. - Tuttavia non è inutile chiedere a Dio ciò che egli compirà con assoluta certezza: è così, p. es., che Cristo chiese la propria glorificazione.
Tuttavia nella preghiera in discussione il sacerdote non chiede che la consacrazione si compia, ma che essa sia fruttuosa per noi: chiede infatti espressamente "che per noi diventi corpo e sangue". Lo stesso significato hanno le parole antecedenti: "Degnati di rendere questa oblazione benedetta", cioè, secondo S. Agostino, "tale da meritarci la benedizione" della grazia; "ascritta così da essere per essa scritti in cielo; ratificata così da essere considerati quali membra di Cristo; ragionevole così da essere per essa liberati dalla sensualità bestiale; accettevole, così da riuscire graditi all'unigenito Figlio di Dio, noi che facciamo orrore a noi stessi".
8. Sebbene questo sacramento sia preferibile per se stesso a tutti gli antichi sacrifici, nondimeno i sacrifici degli antichi furono accettissimi a Dio per la loro devozione. Perciò il sacerdote chiede che questo sacrificio venga accettato da Dio per la devozione degli offerenti, così come furono da lui accettati quei sacrifici.
9. Il sacerdote non chiede che siano portate in cielo le specie sacramentali, né il corpo vero di Cristo, il quale non cessa mai di essere lassù. Ma chiede ciò per il corpo mistico, simboleggiato da questo sacramento: ossia che l'angelo assistente ai divini misteri offra a Dio le preghiere del sacerdote e del popolo, secondo le parole dell' Apocalisse: "Salì il fumo degli aromi per le orazioni dei santi dalla mano dell'angelo al cospetto di Dio". - "Altare celeste di Dio" viene qui denominata o la Chiesa stessa trionfante, nella quale chiediamo di essere trasferiti; o Dio stesso, di cui imploriamo la partecipazione. Di codesto altare sta scritto nell'Esodo: "Non salirai per gradini al mio altare", ossia: "Non ammetterai gradi nella Trinità".
Oppure per l'angelo qui s'intende Cristo medesimo che è "l'Angelo del gran consiglio", il quale congiunge il suo corpo mistico a Dio Padre e alla Chiesa trionfante.
Per questo il sacrificio eucaristico prende il nome di messa. Perché per mezzo di un angelo il sacerdote manda preghiere a Dio, come il popolo le manda per mezzo del sacerdote. Oppure perché Cristo è l'ostia a noi mandata (missa). Per cui alla fine della messa il diacono nei giorni festivi licenzia il popolo dicendo: "Andate, la messa è finita", ossia è stata trasmessa a Dio l'ostia mediante l'angelo, perché sia accetta a Dio.

ARTICOLO 5

Se siano convenienti le cerimonie che si fanno nella celebrazione di questo sacramento

SEMBRA che non siano convenienti le cerimonie che si fanno nella celebrazione di questo sacramento. Infatti:
1. Questo sacramento appartiene al nuovo Testamento, com'è chiaro dalla stessa sua forma. Ora, nel nuovo Testamento non sono da osservarsi le cerimonie del vecchio Testamento. Esse prescrivevano al sacerdote e ai ministri di lavarsi con acqua quando si accingevano a compiere un sacrificio; infatti nell'Esodo si legge: "Aronne e i suoi figli si laveranno le mani e i piedi quando staranno per accostarsi all'altare". Non è dunque conveniente che il sacerdote si lavi le mani durante la messa.

2. Il Signore ordinò pure che il sacerdote "bruciasse incenso di soave odore" sull'altare posto dinanzi al propiziatorio. Anche questa era una cerimonia del vecchio Testamento. Perciò non è opportuno che il sacerdote nella messa faccia l'incensazione.
3. Le cerimonie che si fanno nei sacramenti della Chiesa non sono da ripetersi. Dunque non è ragionevole che il sacerdote ripeta tante volte i segni di croce su questo sacramento.
4. L'Apostolo afferma: "Senza alcun dubbio è l'inferiore a ricevere la benedizione dal superiore". Ma Cristo, che dopo la consacrazione è presente in questo sacramento, è molto superiore al sacerdote. Perciò non è giusto che il sacerdote dopo la consacrazione benedica questo sacramento con dei segni di croce.
5. Nei sacramenti della Chiesa non si deve far nulla che possa sembrare ridicolo. Ora, i gesti che si fanno nella messa, cioè che il sacerdote stenda le braccia, congiunga le mani, accosti le dita, inchini il corpo sembrano ridicoli. Quindi codeste cose non vanno fatte in questo sacramento.
6. Sembra pure ridicolo che il sacerdote si volti tanto spesso al popolo e che tanto spesso lo saluti. Perciò anche questo non deve farsi nella celebrazione di questo sacramento.
7. L'Apostolo considera sconveniente che il Cristo venga diviso. Ora, dopo la consacrazione Cristo è presente in questo sacramento. Non è dunque conveniente che l'ostia venga spezzata dal sacerdote.
8. Le cose che si fanno in questo sacramento rappresentano la passione di Cristo. Ma nella passione il corpo di Cristo fu aperto nei luoghi delle cinque piaghe. Dunque il corpo di Cristo dovrebbe essere spezzato in cinque parti invece che in tre.
9. In questo sacramento il corpo di Cristo viene consacrato tutto intero separato dal sangue. Non è dunque conveniente che una parte di esso venga mescolata col sangue.
10. In questo sacramento come il corpo di Cristo viene dato in cibo, così il suo sangue viene dato in bevanda. Ma nella celebrazione della messa dopo la comunione del corpo di Cristo non si ammette altro cibo corporeo. Perciò non è conveniente che il sacerdote dopo aver sunto il sangue di Cristo prenda del vino non consacrato.
11. La realtà deve corrispondere alla figura. Ma a riguardo dell'agnello pasquale, che era una figura di questo sacramento, si comandava che "non rimanesse nulla per la mattina seguente". Dunque non è giusto che si conservino delle ostie consacrate, invece di consumarle subito.
12. Il sacerdote parla (sempre) al plurale dicendo: "Il Signore sia con voi", oppure "Rendiamo grazie a Dio". Ma non è opportuno usare il plurale per una persona sola, specialmente se si tratta di un inferiore. Dunque non è opportuno che il sacerdote celebri la messa alla presenza di un solo inserviente.
E così sembra che alcuni riti non siano opportuni nella celebrazione di questo sacramento.

IN CONTRARIO: Sta la consuetudine della Chiesa, la quale non può errare, essendo guidata dallo Spirito Santo.

RISPONDO: Come abbiamo già notato, nei sacramenti due sono le forme per esprimere ciò che significano: la parola e il rito. Ora, nella celebrazione dell'Eucarestia le parole, o esprimono cose che riguardano la passione di Cristo, la quale viene rappresentata in questo sacramento; oppure hanno un riferimento al corpo mistico, che in questo sacramento viene simboleggiato; altre poi si riferiscono all'uso dell'Eucarestia, il quale dev'essere accompagnato da devozione e rispetto. Perciò nella celebrazione di questo mistero i riti stessi hanno lo scopo di rappresentare la passione di Cristo; oppure hanno quello di indicare le disposizioni del corpo mistico; mentre altre mirano a eccitare la devozione e la riverenza nell'uso di questo sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'abluzione delle mani si fa nella celebrazione della messa per rispetto verso il sacramento. E questo per due motivi. Primo, perché non siamo soliti toccare certe cose preziose, se non dopo esserci lavate le mani. Sarebbe perciò sconveniente che uno si accostasse a un così grande sacramento con mani sporche, anche solo fisicamente.
Secondo, per il significato di codesto rito. Perché, come osserva Dionigi, l'abluzione delle estremità significa la mondezza anche dai peccati più piccoli, nel senso delle parole evangeliche: "Chi si è già lavato, ha bisogno di lavarsi soltanto i piedi". E tale mondezza si richiede in chi si accosta all'Eucarestia. Anche la confessione che si fa prima dell'introito della messa ha questo medesimo significato. E uguale significato aveva l'abluzione dei sacerdoti nell'antica legge, come nota Dionigi.
La Chiesa però non mantiene questo rito come una cerimonia prescritta dall'antica legge, bensì come una cerimonia istituita dalla Chiesa, come cosa opportuna per se stessa. Ecco perché essa non viene osservata come allora. Infatti si omette l'abluzione dei piedi e si fa la sola abluzione delle mani, che è più facile ed è sufficiente a significare la mondezza perfetta. Essendo infatti la mano "l'organo degli organi", come la chiama Aristotele, tutte le azioni vengono attribuite alle mani. Tanto che nei Salmi si legge: "Laverò le mie mani nell'innocenza".
2. Anche l'incensazione la usiamo non come cerimonia prescritta dalla legge antica, ma come rito della Chiesa. E quindi non la usiamo allo stesso modo in cui era stabilita nell'antica legge.
Essa ha due scopi. Primo, serve al rispetto verso il sacramento: serve cioè a eliminare con un buon odore gli eventuali cattivi odori che provocassero nel luogo sgradevole impressione.
Secondo, serve a rappresentare l'effetto della grazia, della quale, come di buon odore, Cristo era pieno, in conformità alle parole bibliche: "Ecco, l'odore del mio figlio è come l'odore di un campo fiorito"; odore che dal Cristo arriva ai fedeli per l'ufficio dei ministri, come afferma S. Paolo: "L'odore della sua conoscenza sparge in ogni luogo per mezzo di noi". Per questo, dopo che è stato incensato da ogni parte l'altare che è simbolo di Cristo, vengono incensati per ordine tutti i presenti.
3. Il sacerdote nella celebrazione della messa fa i segni di croce per indicare la passione di Cristo che terminò con la croce. Ora, la passione di Cristo si compì quasi per gradi successivi. Prima infatti ci fu la consegna di Cristo; e fu fatta da Dio, da Giuda e dai Giudei. Ciò viene indicato dai segni di croce alle parole: "Questi doni, queste offerte, questi santi e immacolati sacrifici".
Secondo, ci fu la vendita del Cristo. Egli fu venduto ai sacerdoti, agli scribi e ai farisei. A significare ciò si ripete per tre volte il segno di croce alle parole: "Benedetta, ascritta, ratificata". Oppure questi tre segni stanno a indicare il prezzo di tale vendita, ossia i trenta denari. - Si aggiungono poi due segni di croce alle parole: "Perché diventi per noi corpo e sangue, ecc.", per indicare Giuda il traditore e Cristo tradito.
Terzo, ci fu la predizione della passione di Cristo fatta nella Cena. A indicarla si fanno per la terza volta due segni di croce: uno alla consacrazione del corpo, l'altro alla consacrazione del sangue, quando nei due casi si dice: "Benedisse".
Quarto, si giunse al compimento della passione stessa. E qui, per rappresentare le cinque piaghe di Cristo, c'è un gruppo di cinque segni di croce alle parole: "Ostia pura, ostia santa, ostia immacolata, pane santo di vita eterna e calice di perenne salvezza".
Quinto, si rappresenta la distensione del corpo di Gesù sulla croce, l'effusione del sangue e il frutto della passione con tre segni di croce alle parole: "(quanti riceveremo) il corpo e il sangue, veniamo ricolmi d'ogni benedizione, ecc.".
Sesto, vengono rappresentate le tre orazioni che Gesù fece sulla croce. La prima per i persecutori, dicendo: "Padre, perdona loro"; la seconda per la propria liberazione dalla morte: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"; la terza per conseguire la gloria, con l'invocazione: "Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito". E per esprimere tutto questo si fanno tre segni di croce alle parole: "santifichi, vivifichi, benedici, ecc.".
Settimo, vengono ricordate le tre ore che Cristo rimase sulla croce, cioè dall'ora sesta all'ora nona. E a indicare ciò si fa di nuovo un triplice segno di croce alle parole: "Da lui, con lui e per lui".
Ottavo, si ricorda la separazione della sua anima dal corpo con le due successive croci traçciate fuori dal calice.
Nono, si commemora la resurrezione avvenuta nel terzo giorno per mezzo dei tre segni di croce alle parole: "La pace del Signore sia sempre con voi".
Più brevemente però si può dire che, dipendendo la consacrazione di questo sacramento, il gradimento di questo sacrificio e il suo frutto dalla virtù della croce di Cristo, ogni volta che si accenna a una di queste cose, il sacerdote traccia qualche segno di croce.
4. Il sacerdote dopo la consacrazione non fa i segni di croce per benedire e per consacrare, ma solo per ricordare la virtù della croce e le circostanze della passione di Cristo, come risulta da quanto abbiamo già detto.
5. I gesti che il sacerdote fa nella messa non sono gesti ridicoli, avendo un significato simbolico. Infatti il sacerdote, che dopo la consacrazione stende le braccia, vuole indicare le braccia di Cristo distese sulla croce.
Quando poi alza le mani per pregare vuol significare che la sua orazione in favore del popolo è diretta a Dio, secondo la raccomandazione di Geremia: "Alziamo con le mani i nostri cuori a Dio verso il cielo". E l'Esodo racconta: "Finché Mosè teneva le mani alzate, Israele vinceva".
Il fatto poi che il sacerdote talvolta congiunge le mani e s'inchina pregando supplichevolmente e umilmente, designa l'umiltà e l'obbedienza con le quali Cristo accettò la passione.
Il sacerdote finalmente tiene congiunte le dita, cioè il pollice e l'indice con i quali ha toccato il corpo consacrato di Cristo, dopo la consacrazione, perché, se dei frammenti ci fossero rimasti attaccati, non vadano dispersi. Ciò rientra nel rispetto dovuto al sacramento.
6. Il sacerdote si rivolge verso il popolo cinque volte, per ricordare che il Signore nel giorno della risurrezione apparve cinque volte, come dicemmo sopra trattando della risurrezione di Cristo.
Saluta il popolo invece sette volte, cioè le cinque in cui si volta e altre due in cui non si volta, ossia prima del prefazio, quando dice: "Il Signore sia con voi", e quando dice: "La pace del Signore sia sempre con voi", per indicare i sette doni dello Spirito Santo. - Invece il vescovo quando celebra nelle festività nel primo saluto dice, come disse il Signore dopo la risurrezione: "La pace sia con voi", perché principalmente il vescovo ne rappresenta la persona.
7. La frazione dell'ostia significa tre cose: primo, le ferite inferte nella passione al corpo di Cristo; secondo, la distinzione del corpo mistico nei diversi stati; terzo, la distribuzione delle grazie derivate dalla passione di Cristo, come scrive Dionigi. Perciò tale frazione non implica nessuna divisione in Cristo.
8. "Il corpo del Signore", secondo le parole del Papa Sergio, riferite dal Decreto, "può trovarsi in tre condizioni". "La porzione dell'ostia messa nel calice significa il corpo del Signore già risorto", ossia Cristo stesso, la santa Vergine e altri santi che siano già eventualmente nella gloria con il loro corpo. "La porzione che viene mangiata rappresenta quanti peregrinano ancora sulla terra"; poiché questi sono uniti mediante il sacramento, e vengono tribolati dalle sofferenze come il pane mangiato viene tritato dai denti. "La porzione che rimane sull'altare fino alla fine della messa significa il corpo di Cristo che giace nel sepolcro; perché fino alla fine del mondo i corpi dei santi staranno nei sepolcri"; mentre le loro anime sono in purgatorio o in cielo. Oggi però quest'ultimo rito di serbare una porzione dell'ostia fino alla fine della messa, non si osserva più. Tuttavia il simbolismo delle tre porzioni rimane. Alcuni lo hanno espresso metricamente: "In parti si divide l'ostia; intinta nel sangue evoca i pieni di gloria, asciutta i viventi, serbata i sepolti".
Altri invece spiegano che la parte immessa nel calice significa coloro che vivono in questo mondo; la parte serbata fuori del calice indica quanti hanno conseguito la pienezza della beatitudine con il corpo e con l'anima; la parte mangiata indica tutti gli altri.
9. Il calice può avere due significati. Primo, può indicare la passione che è rappresentata in questo sacramento. E allora la porzione dell'ostia messa dentro il calice indica coloro che sono ancora partecipi delle sofferenze di Cristo.
Secondo, può anche indicare il possesso della beatitudine, che pure è simboleggiata da questo sacramento. E allora la porzione messa nel calice rappresenta coloro che con il corpo sono già nella pienezza della beatitudine.
È da notare che la parte lasciata cadere nel calice non si può distribuire al popolo per la comunione in mancanza di altra ostia, perché Cristo non porse il pane intinto se non a quel traditore di Giuda.
10. Il vino essendo liquido, è detergente. È per questo che viene sunto dopo la comunione eucaristica per l'abluzione della bocca, perché non vi rimangano frammenti, come esige il rispetto dovuto al sacramento. Di qui la prescrizione dei canoni: "Il sacerdote, dopo aver prese entrambe le specie eucaristiche deve sempre lavarsi la bocca col vino, eccetto il caso in cui nello stesso giorno debba dire un'altra messa, perché bere il vino dell'abluzione impedirebbe la seconda celebrazione". - Per il medesimo motivo si lava con il vino le dita con le quali ha toccato il corpo di Cristo.
11. La realtà deve corrispondere alla figura, ma non in tutto: nel caso cioè non si deve conservare per il giorno dopo una parte dell'ostia consacrata che è servita alla comunione del sacerdote, dei ministri o anche del popolo. Di qui la disposizione del Papa Clemente riferita dal Decreto (di Graziano): "La materia del sacrificio sia corrispondente al bisogno del popolo. Se ne avanza, non si serbi al domani, ma con timore e tremore sia consumata dai chierici".
Nondimeno, poiché questo sacramento a differenza dell'agnello pasquale deve riceversi quotidianamente, è necessario serbare per gli infermi altre ostie consacrate. Quindi lo stesso Decreto ordina: "Il sacerdote abbia sempre pronta l'Eucarestia; cosicché, quando qualcuno si ammala, lo possa comunicare subito, e impedire così che muoia senza comunione".
12. Alla celebrazione solenne della messa devono prendere parte più persone. A ciò si riferisce la disposizione del Papa Sotero riportata dal Decreto: "È stato pure stabilito che nessun sacerdote osi celebrare la messa se non alla presenza di due persone che vi assistano e rispondano; perché dicendo egli al plurale: "Il Signore sia con voi", e nella parte segreta, "Pregate, fratelli", è evidentemente opportuno che il suo saluto abbia una risposta". E nello stesso Decreto si legge la norma che il vescovo per maggiore solennità celebri la messa alla presenza di molti.
Tuttavia nelle messe private basta avere un inserviente che rappresenta tutto il popolo cattolico, e che risponde in plurale al sacerdote in nome di esso.

ARTICOLO 6

Se si possa rimediare ai difetti occorrenti nella celebrazione eucaristica, osservando le prescrizioni della Chiesa

SEMBRA che non si possa rimediare ai difetti occorrenti nella celebrazione di questo sacramento, osservando le prescrizioni della Chiesa. Infatti:
1. Talvolta accade che il sacerdote celebrante prima o dopo la consacrazione muoia, impazzisca o venga colto da qualche malore, per cui non possa ricevere il sacramento e condurre a termine la messa. Dunque non è possibile stare alla prescrizione della Chiesa, che ordina al sacerdote consacrante di comunicarsi del proprio sacrificio.

2. Talvolta accade che il sacerdote prima o dopo la consacrazione si ricordi di aver mangiato o bevuto qualche cosa, oppure di essere in peccato mortale, o di essere incorso in una scomunica, di cui prima non si ricordava. È inevitabile dunque che chi si trova in tale situazione pecchi mortalmente, perché agirà comunque contro le prescrizioni ecclesiastiche, tanto se si comunica, quanto se non si comunica.
3. Talvolta capita che una mosca o un ragno o un animale velenoso cada nel calice dopo la consacrazione; oppure il sacerdote viene a sapere che nel calice è stato versato del veleno da un malintenzionato per ucciderlo. In tal caso se si comunica, pecca mortalmente, o perché si uccide, o perché tenta Dio. Similmente se non si comunica, pecca contravvenendo alla prescrizione della Chiesa. Quindi viene a trovarsi in una situazione di perplessità, ed è costretto a peccare. E ciò è inammissibile.
4. Talvolta accade che per negligenza del ministro l'acqua non sia stata versata, o addirittura neppure il vino, quando finalmente il sacerdote se ne accorge. Anche allora dunque egli rimane perplesso: tanto se sume il corpo senza il sangue, facendo un sacrificio imperfetto; quanto, se non sume né il corpo né il sangue.
5. Può accadere che il sacerdote non si ricordi di aver pronunziato le parole della consacrazione, oppure le altre parole prescritte nella celebrazione di questo sacramento. In tal caso dunque egli pecca, sia ripetendo sulla medesima materia le parole che forse ha già detto, sia comunicandosi con pane e vino non consacrati, come se fossero consacrati.
6. Talvolta succede che per il freddo l'ostia cada di mano al sacerdote nel calice, o prima o dopo la frazione, In tal caso dunque il sacerdote non potrà attenersi al rito della Chiesa riguardante la frazione dell'ostia, o la norma di metterne dentro il calice solo una terza parte.
7. Talvolta succede che per negligenza del sacerdote si versi il sangue di Cristo; oppure che il sacerdote vomiti il sacramento dopo la comunione, ovvero che le ostie consacrate si serbino così a lungo da putrefarsi; o addirittura che siano rose dai topi, o vadano comunque in rovina. In simili casi non è possibile tributare a questo sacramento la debita riverenza secondo le prescrizioni della Chiesa. Quindi non sembra che sia possibile rimediare sufficientemente a tali difetti o pericoli, stando alle prescrizioni della Chiesa.

IN CONTRARIO: La Chiesa, come Dio, "non prescrive nulla d'impossibile".

RISPONDO: Ai pericoli o difetti possibili nei riguardi di questo sacramento si può ovviare in due modi. Primo, col prevenirli, perché non accadano. Secondo, provvedendo dopo che sono accaduti: cioè correggendo il difetto con il rimedio opportuno, o almeno con l'espiazione da parte di chi si è reso colpevole di negligenza circa questo sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Se il sacerdote viene colpito dalla morte o da una grave malattia prima della consacrazione del corpo o del sangue del Signore, non è necessario che un altro lo supplisca.
Se invece la cosa accade dopo che la consacrazione ha già avuto inizio, p. es., quando è già stato consacrato il corpo e non ancora il sangue, o dopo la consacrazione di ambedue, la celebrazione della messa dev'essere terminata da un altro. Perciò, nei Canoni di un Concilio di Toledo si legge: "Stabiliamo essere necessario che durante la celebrazione delle messe alla consacrazione dei santi misteri, accadendo un fatto di malattia tale da impedire ai sacerdoti di terminare il mistero iniziato, si lasci libertà al vescovo o ad altro sacerdote di completare la consacrazione incominciata. Poiché i misteri iniziati non si possono portare a termine se non con la benedizione del sacerdote che li ha iniziati, o di chi li ha proseguiti: essi infatti non possono essere compiuti, se non siano completi secondo l'ordine stabilito. Poiché tutti siamo una sola cosa in Cristo, nessun impedimento costituisce la diversità di persone dove l'identità della fede garantisce l'efficacia dello stesso effetto. Si badi perché la norma richiesta dalla infermità della natura non si cambi in un peccato di presunzione. Nessun ministro o sacerdote senza un malore patente osi in alcun modo lasciare incompiuti i misteri iniziati. Se qualcuno temerariamente oserà di farlo, sarà colpito da sentenza di scomunica".
2. Nelle difficoltà dobbiamo attenerci sempre al pericolo minore. Ora, riguardo a questo sacramento il pericolo più grave è costituito dall'incompletezza del sacramento; perché questo è un enorme sacrilegio. Di minor entità sono invece i difetti da parte di chi lo riceve. Perciò il sacerdote, se iniziata la consacrazione si ricorda di aver mangiato o bevuto qualche cosa, deve ugualmente portare a termine il sacrificio e sumere il sacramento. - Così pure se si ricorda di aver commesso un peccato, deve pentirsene con il proposito di confessarsi e di riparare: e allora non riceve il sacramento indegnamente, ma con frutto. - Lo stesso vale, se si rammenta di essere stato colpito da una scomunica. Deve fare il proposito di chiederne l'assoluzione: e così dall'invisibile Pontefice Gesù Cristo sarà assolto in ordine al compimento dei divini misteri.
Se invece si ricordasse di tali cose prima della consacrazione, stimerei cosa più sicura, specialmente in caso di violazione di digiuno e di scomunica, interrompere la celebrazione iniziata della messa, eccetto quando ci fosse da temere un grave scandalo.
3. Se una mosca o un ragno cade nel calice prima della consacrazione, oppure se il sacerdote si accorge che c'è stato messo del veleno, deve gettar via tutto; e, purificato il calice, porre di nuovo altro vino da consacrare. - Se invece ciò accade dopo la consacrazione, l'insetto dev'essere preso con cautela, lavato diligentemente e bruciato, gettando poi le ceneri e l'acqua dell'abluzione nel sacrario.
Se invece avverte la presenza del veleno, il sacerdote non deve berlo né darlo ad altri, affinché il calice di vita non si cambi in morte; ma lo deve riporre in un vaso adatto. Poi, perché il sacramento non rimanga incompleto, deve versare nel calice altro vino, e, ricominciando dalla consacrazione del sangue, portare a termine il sacrificio.
4. Se il sacerdote prima della consacrazione del sangue e dopo la consacrazione del corpo si accorge che nel calice non c'è vino o non c'è acqua, deve subito metterne e consacrare. - Se invece si accorge della mancanza dell'acqua dopo le parole della consacrazione, deve andare avanti, perché l'aggiunta dell'acqua non è necessaria alla validità del sacramento, come si è detto sopra. Chi però è colpevole del fatto, dev'essere punito. In nessun modo però deve aggiungersi dell'acqua al vino già consacrato: perché ne seguirebbe, e si è visto, la parziale corruzione del sacramento.
Se però dopo le parole della consacrazione il sacerdote si accorge che nel calice non c'è stato messo il vino, se l'avverte prima della comunione del corpo, deve, buttando via l'acqua eventualmente infusa nel calice, mettere nel calice vino con acqua e ricominciare dalle parole della consacrazione del sangue. - Se invece l'avverte dopo la comunione del corpo, deve prendere un'altra ostia e consacrarla insieme col sangue. Dico questo perché, se pronunziasse soltanto le parole della consacrazione del sangue, non verrebbe osservato il debito ordine nella consacrazione: ora, come nota il citato Concilio di Toledo, "i sacrifici non possono dirsi compiuti, se non siano completi secondo l'ordine stabilito". Incominciare poi dalla consacrazione del sangue e ripetere tutto il resto di seguito non avrebbe senso in mancanza dell'ostia consacrata, perché nelle parole da dire e nelle cose da fare occorre riferirsi non solo al sangue, ma anche al corpo. Finalmente egli deve comunicarsi di nuovo con la seconda ostia consacrata e con il sangue, anche se avesse bevuta l'acqua eventualmente presente nel calice: perché la norma relativa alla completezza del sacramento è più grave, come si è detto sopra, della norma che prescrive il digiuno per la comunione sacramentale.
5. Il sacerdote, anche se non ricorda di aver detto tutto quello che doveva dire, non deve per questo turbarsi. Perché, chi dice molte cose, non tutto può ricordare, ma solo ciò che nel parlare avverte come già detto; è così infatti che una cosa detta diventa oggetto di memoria. Perché se uno pensa attentamente alle parole che pronunzia, ma non pensa alla pronunzia, dopo non ricorda bene se l'ha detto. Infatti una cosa diviene oggetto di memoria in quanto è appresa come passata, secondo la spiegazione che dà Aristotele.
Se tuttavia sembra probabile al sacerdote di aver omesso qualche cosa che non sia indispensabile al sacramento, penso che per questo non debba ricominciare da capo cambiando l'ordine del sacrificio, ma che debba proseguire. - Se invece è certo di aver omesso qualche cosa di essenziale, ossia la forma della consacrazione, essendo questa necessaria al sacramento quanto la materia, si deve fare come si è visto a proposito del difetto della materia: si deve cioè riprendere dalla forma della consacrazione, e ripetere per ordine tutto il resto, per non cambiare l'ordine del sacrificio.
6. La frazione dell'ostia consacrata e l'immissione di una sua parte nel calice si riferisce al corpo mistico: così come l'aggiunta dell'acqua sta a significare il popolo. Perciò l'omissione di queste cose non rende incompleto il sacrificio, così da doversi ripetere qualche cosa nella celebrazione di questo sacramento.
7. Come si legge nel Decreto, che riferisce un testo del Papa S. Pio I "se per negligenza delle gocce di sangue cadono sul pavimento di legno a contatto con la terra, si lambiscano con la lingua e si raschi il pavimento. Se manca il tavolato si raschi la terra, si bruci e si depositi la cenere sotto l'altare. Il sacerdote poi faccia penitenza per quaranta giorni. - Se poi il calice si è versato sull'altare, il ministro sorbisca le gocce. E faccia penitenza per tre giorni. - Se il sangue si è versato sulle tovaglie dell'altare ed è passato fino alla seconda, faccia penitenza per quattro giorni. Se fino alla terza, faccia penitenza per nove giorni. Se fino alla quarta tovaglia, faccia penitenza per venti giorni. Le tovaglie poi in cui il sangue si è versato, siano lavate per tre volte dal ministro tenendo sotto il calice, e l'acqua di questa abluzione si raccolga e sia riposta presso l'altare". Codesta acqua potrebbe anche essere bevuta dal ministro, se non ci fosse pericolo che venisse vomitata. Alcuni inoltre tagliano la parte delle tovaglie dove si è versato il sangue e la bruciano, riponendo le ceneri sotto l'altare, o nel sacrario.
Nello stesso Decreto sono poi riportate le norme di un penitenziale di S. Beda: "Se uno per ubriachezza o intemperanza vomita l'Eucarestia, faccia quaranta giorni di penitenza; i chierici, i monaci e i sacerdoti ne facciano sessanta; il vescovo novanta. Se uno però la vomita per malattia, faccia sette giorni di penitenza".
Il medesimo Decreto riporta poi le prescrizioni di un Concilio di Orléans: "Chi non ha conservato a dovere il sacramento, cosicché in chiesa un topo o un altro animale lo mangia, faccia quaranta giorni di penitenza. - Chi perde l'Eucarestia in chiesa o ne fa cadere una parte che non si trovi più, faccia trenta giorni di penitenza". - La stessa penitenza merita il sacerdote, per la cui trascuratezza si putrefanno le ostie consacrate.
Nei suddetti giorni di penitenza il penitente deve digiunare e astenersi dalla comunione. Tuttavia, tenendo conto delle circostanze riguardanti il fatto e le persone, può aggravarsi o diminuirsi la penitenza suddetta.
Comunque però si abbia cura di conservare rispettosamente, o di consumare le specie eucaristiche ogni volta che si trovino integre ; perché sotto le specie, finché esse durano, rimane presente il corpo di Cristo, come si disse sopra. Le cose dove le specie vengono a trovarsi si brucino, se ciò può farsi senza difficoltà e si riponga la cenere nel sacrario; come abbiamo detto sopra a proposito della raschiatura del pavimento di legno.