Il Santo Rosario

L'Umiltà

Somma Teologica II-II, q. 161

Ed eccoci ad esaminare le specie della modestia. Primo, l'umiltà, e il suo contrario che è la superbia; secondo, la studiosità e l'opposta curiosità; terzo, la modestia nelle parole e negli atti; quarto, la modestia nell'abbigliamento esterno.
Sul primo tema tratteremo sei argomenti: 1. Se l'umiltà sia una virtù; 2. Se consista nella volizione o nel giudizio della ragione; 3. Se per umiltà ci si debba mettere al di sotto di tutti; 4. Se l'umiltà sia tra le parti della modestia, e quindi della temperanza; 5. Suo confronto con le altre virtù; 6. I gradi dell'umiltà.

ARTICOLO 1

Se l'umiltà sia una virtù

SEMBRA che l'umiltà non sia una virtù. Infatti:
1. La virtù ha natura di bene. L'umiltà invece sembra avere natura di male, stando a quelle parole del Salmista: "Umiliarono nei ceppi i suoi piedi". Dunque l'umiltà non è una virtù.

2. Virtù e vizio sono tra loro incompatibili. Ma talora l'umiltà è un vizio, come appare da quell'affermazione della Scrittura: "C'è chi ingiustamente si umilia". Perciò l'umiltà non è una virtù.
3. Una virtù non è mai incompatibile con altre virtù. Invece l'umiltà si contrappone alla virtù della magnanimità, che tende alle cose grandi, dalle quali l'umiltà rifugge. Quindi l'umiltà non è una virtù.
4. La virtù, a detta di Aristotele, è "disposizione di un essere perfetto". L'umiltà invece è proprio di chi è imperfetto: a Dio infatti non si addice né l'umiliazione né la sottomissione ad altri. Perciò l'umiltà non è una virtù.
5. Aristotele insegna, che "tutte le virtù morali riguardano, o gli atti esterni, o le passioni". Ora, l'umiltà non è da lui enumerata tra le virtù relative alle passioni: e d'altra parte non rientra nella giustizia, che riguarda gli atti esterni. Dunque essa non è una virtù.

IN CONTRARIO: Origene, nel commentare le parole della Vergine, "Ha guardato l'umiltà della sua serva", afferma: "nella Scrittura l'umiltà è espressamente inserita tra le virtù; poiché il Salvatore ha detto: Imparate da me, che sono mansueto ed umile di cuore".

RISPONDO: Come abbiamo detto nel trattato delle passioni, il bene arduo ha un aspetto che attira l'appetito, ed è appunto la sua bontà: ed ha un aspetto repellente, che è la difficoltà di raggiungerlo: dando luogo il primo al moto della speranza, e il secondo a quello della disperazione. Ora, sopra abbiamo già notato che per i moti affettivi di attrazione si richiede una virtù morale per moderarli e frenarli; mentre per quelli di ripulsa si richiede una virtù morale che fortifichi e stimoli. Perciò per il bene arduo si richiedono due virtù. Una per moderare e frenare l'animo, perché non esageri nel tendere verso le cose alte: e questo appartiene alla virtù dell'umiltà. L'altra per fortificare l'animo contro la disperazione, e spingerlo, seguendo la retta ragione alla conquista di cose grandi: e questo è proprio della magnanimità. Perciò è evidente che l'umiltà è una virtù.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Isidoro nelle sue Etimologie, "umile suona humi acclinis (giacente per terra)", ossia aderente alle cose basse. Ma questo può avvenire in due modi. Primo, per una causa estrinseca: come quando uno è gettato a terra da un altro. E allora l'umiltà è una sofferenza. - Secondo, da un principio intrinseco. E questo può essere un bene, se uno nel considerare la propria miseria si abbassa nei limiti del suo grado; come fece Abramo il quale disse al Signore: "Parlerò al mio Signore, pur essendo io polvere e cenere". In tal caso l'umiltà è una virtù. Ma talora questo può essere un male: come quando "l'uomo, misconoscendo il proprio onore, si adegua ai giumenti irragionevoli e diviene simile ad essi".
2. L'umiltà in quanto virtù implica, come abbiamo detto, un abbassamento lodevole di se stessi. Ma talora questo si fa solo con i segni esterni, per finzione. E questa è una "falsa umiltà", che a detta di S. Agostino "è grande superbia", perché aspira alla gloria. - Talora invece questo si fa per convinzione profonda dell'anima. Ed è proprio per questo che l'umiltà è una virtù: poiché la virtù non consiste negli atti esterni, ma principalmente consiste nelle deliberazioni dell'anima, come dice Aristotele.
3. L'umiltà impedisce alla volontà di tendere a cose grandi contro l'ordine della ragione. Invece la magnanimità spinge a grandi cose, ma secondo l'ordine della ragione. Perciò è evidente che la magnanimità non è contraria all'umiltà, poiché esse si accordano nel seguire la retta ragione.
4. Una cosa può essere perfetta in due modi. Primo, in senso assoluto: così da non ammettere nessun difetto, sia nella propria natura che nei rapporti con gli altri esseri. E in tal modo è perfetto Dio soltanto: al quale non si può attribuire l'umiltà secondo la sua natura, ma solo in rapporto alla natura assunta. - Secondo, una cosa può essere perfetta in senso relativo: cioè in rapporto alla propria natura, al proprio stato, o alla propria età. Ed è così che è perfetto l'uomo virtuoso. Ma questa perfezione è piccola cosa rispetto a Dio, come si legge in Isaia: "Tutte le genti dinanzi a lui sono come se non fossero". Ed è così che tutti gli uomini possono essere umili.
5. Il Filosofo intendeva considerare le virtù in quanto sono ordinate alla vita civile, nella quale la sottomissione di un uomo all'altro è determinata secondo la legge, e quindi rientra nella giustizia legale. L'umiltà invece, in quanto virtù specificamente distinta riguarda la sottomissione dell'uomo a Dio, che detta anche l'umile sottomissione ad altre creature.

ARTICOLO 2

Se l'umlltà riguardi la sfera degli appetiti

SEMBRA che l'umiltà non riguardi la sfera degli appetiti, ma piuttosto il giudizio della ragione. Infatti:
1. L'umiltà è il contrario della superbia. Ma la superbia consiste soprattutto in cose di ordine conoscitivo. Poiché S. Gregorio afferma, che "sebbene la superbia trasparisca da tutto il corpo, prima viene indicata dagli occhi"; tanto è vero che il Salmista diceva: "Signore, non è orgoglioso il mio cuore, né sono altezzosi i miei occhi". Ora, gli occhi sono quelli che più servono alla cognizione. Dunque l'umiltà riguarda soprattutto la conoscenza, con la quale uno si stima da poco.

2. S. Agostino afferma, che "l'umiltà costituisce quasi tutto l'insegnamento di Cristo". Perciò niente di ciò che è incluso nell'insegnamento cristiano è incompatibile con l'umiltà. Ma da questo siamo esortati ad aspirare alle cose più grandi. "Aspirate ai carismi superiori", ammonisce S. Paolo. Perciò l'umiltà non ha il compito di reprimere le aspirazioni alle cose ardue, ma la stima di se stessi.
3. Spetta a un'identica virtù frenare lo slancio eccessivo, e fortificare l'animo contro l'esagerata ripulsa: la sola fortezza, p. es., tiene a freno l'audacia e rafforza l'animo contro il timore. Ora, la magnanimità fortifica l'animo contro le difficoltà che capitano nel perseguire le grandi cose. Quindi se l'umiltà consistesse nel frenare l'aspirazione della volontà alle cose grandi, non sarebbe più da distinguersi dalla magnanimità. Il che è falso. Perciò l'umiltà non riguarda il desiderio delle grandi cose, ma piuttosto la stima di se stessi.
4. Per Andronico l'umiltà ha il compito di moderare l'abbigliamento esterno: affermando che l'umiltà è "l'abito di non eccedere nelle spese e negli allestimenti". Perciò essa non ha per oggetto i moti della volontà.

IN CONTRARIO: S. Agostino scrive, che è umile "colui che preferisce essere disprezzato nella casa del Signore, piuttosto che abitare nei tabernacoli dei peccatori". Ma la scelta appartiene alla volontà. Dunque l'umiltà consiste più negli atti del volere che nel giudizio della ragione.

RISPONDO: Come sopra abbiamo visto, compito proprio dell'umiltà è quello di frenare noi stessi, per non innalzarci a cose che ci sono superiori. Ora, per questo è necessario che uno conosca i limiti delle proprie capacità. E quindi la conoscenza delle proprie deficienze appartiene all'umiltà come regola direttiva della volontà. Ma l'umiltà consiste essenzialmente nella volizione stessa. Perciò si deve concludere che l'umiltà propriamente tende a moderare i moti della volontà.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La sfrontatezza dello sguardo è un segno di superbia, in quanto esclude la riverenza e il timore. Infatti le persone timorate e rispettose hanno l'abitudine di tenere gli occhi bassi, come se non osassero confrontarsi con altri. Ma da ciò non segue che l'umiltà consista essenzialmente in un fatto conoscitivo.
2. Tendere a cose grandi confidando nelle proprie forze è contrario all'umiltà. Ma non è contro l'umiltà tendervi confidando nell'aiuto di Dio: specialmente se pensiamo che l'uomo tanto più si eleva presso Dio quanto più a lui si sottomette con l'umiltà. Perciò S. Agostino ha scritto: "Altra cosa è elevarsi a Dio; e altra cosa è elevarsi contro Dio. Chi si prostra dinanzi a lui, egli lo rialza: chi si erge contro di lui, egli lo atterra".
3. Unico è il motivo per il quale la fortezza frena l'audacia e fortifica l'animo contro il timore: e cioè perché l'uomo deve preferire il bene di ordine razionale ai pericoli di morte. Invece nel frenare la presunzione della speranza, che è compito dell'umiltà, e nel fortificare l'animo contro la disperazione, compito della magnanimità, i motivi sono distinti. Infatti il motivo di fortificare l'animo contro la disperazione è il conseguimento del proprio bene: ossia impedire che col disperare uno si renda indegno del bene che a lui si addice. Invece nel reprimere la presunzione della speranza il motivo principale deriva dal rispetto verso Dio, che impedisce all'uomo di attribuirsi più di quanto comporta il grado a lui assegnato da Dio. Perciò l'umiltà implica soprattutto la sottomissione dell'uomo a Dio. Ecco perché S. Agostino attribuisce l'umiltà, che secondo lui corrisponde alla povertà in spirito, al dono del timore, che ispira la riverenza verso Dio. Ed ecco perché la fortezza non sta all'audacia come l'umiltà sta alla (passione della) speranza. Infatti la fortezza, più che reprimerla, si serve dell'audacia: cosicché essa somiglia di più al suo eccesso che alla sua deficienza. L'umiltà invece insiste più nel reprimere la speranza o fiducia in se stessi che a servirsene: e quindi è più incompatibile con i suoi eccessi che con la sua carenza.
4. Gli eccessi nelle spese e negli allestimenti esterni si fanno ordinariamente per una certa ostentazione, che viene repressa dall'umiltà. E in tal senso l'umiltà consiste secondariamente in queste cose esterne, in quanto esse son segno dei moti interni della volontà.

ARTICOLO 3

Se l'uomo per umiltà debba mettersi al di sotto di tutti

SEMBRA che per umiltà l'uomo non debba mettersi al di sotto di tutti. Infatti:
1. L'umiltà, come abbiamo detto, consiste specialmente nella sottomissione dell'uomo a Dio. Ma ciò che si deve a Dio non va prestato all'uomo: com'è evidente per gli atti di latria. Perciò l'uomo non si deve sottomettere per umiltà ad altri uomini.

2. S. Agostino afferma: "L'umiltà deve rientrare nella verità e non nella falsità". Ora, alcuni sono nel grado più alto: e quindi, sottomettendosi ai loro inferiori, non potrebbero farlo senza falsità. Dunque l'umiltà non obbliga a mettersi al di sotto di tutti.
3. Nessuno deve fare ciò che mette in pericolo l'altrui salvezza. Ma sottomettendosi ad altri per umiltà, talora uno provoca un danno alla persona cui si sottomette, la quale s'insuperbisce o disprezza, secondo l'osservazione di S. Agostino: "Volendo troppo osservare l'umiltà, si compromette la forza dell'autorità". Perciò l'uomo per umiltà non è tenuto a mettersi al di sotto di tutti.

IN CONTRARIO: S. Paolo ammonisce: "Ciascuno ritenga gli altri superiori a se stesso".

RISPONDO: In ogni individuo si possono considerare due cose: ciò che appartiene a Dio, e ciò che appartiene all'uomo. All'uomo appartiene ogni difetto, a Dio invece tutto ciò che vale per la salvezza e la perfezione, secondo le parole della Scrittura: "Tu sei la tua rovina, o Israele; in me soltanto sta il tuo aiuto". Ora, l'umiltà propriamente riguarda, come abbiamo detto, la riverenza con la quale l'uomo si sottomette a Dio. E quindi ciascun uomo in ciò che a lui appartiene deve mettersi al di sotto di qualsiasi altra persona rispetto ai doni di Dio che sono in essa.
Ma l'umiltà non richiede che uno metta i doni che egli ha ricevuto al di sotto dei doni di Dio che scorge in (qualsiasi) altro. Infatti chi è partecipe dei doni di Dio ha la coscienza di averli, come si rileva dalle parole di S. Paolo: "Affinché conosciamo le cose da Dio a noi donate". Perciò, senza pregiudizio per l'umiltà, si possono preferire i doni ricevuti da noi a quelli che ci risultano conferiti ad altri; come fa l'Apostolo scrivendo agli Efesini: "Nelle altre età non fu conosciuto (il mistero di Cristo) dai figli degli uomini, così come ora è stato rivelato ai suoi santi Apostoli".
Parimenti l'umiltà non esige che uno metta se stesso, rispetto alle miserie che da lui derivano, al di sotto delle miserie del prossimo. Altrimenti bisognerebbe che ognuno si considerasse più peccatore di ogni altra persona: mentre l'Apostolo, senza mancare di umiltà, affermava: "Noi di nascita siamo Giudei, e non peccatori provenienti dai Gentili".
Tuttavia uno può pensare che nel prossimo c'è del bene che egli non ha, oppure che in se stesso c'è del male che non si trova negli altri: e così può sempre mettersi al di sotto del prossimo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dobbiamo riverire Dio non solo in se stesso, ma anche in quanto di divino c'è in ogni creatura: però non allo stesso modo. Perciò con l'umiltà dobbiamo sottostare per il Signore a tutti i nostri prossimi, secondo l'ammonimento di S. Pietro: "Siate soggetti per amore del Signore ad ogni umana creatura": ma il culto di latria dobbiamo prestarlo soltanto a Dio.
2. Nel preferire ciò che c'è di divino nel prossimo a ciò che è umano in noi, non possiamo incorrere nella falsità. Ecco perché nel commentare le parole di S. Paolo, "Consideratevi reciprocamente superiori", la Glossa afferma: "Questa estimazione non deve essere una menzogna: ma si deve pensare sinceramente che può esserci negli altri del bene nascosto per cui sono superiori a noi, malgrado il bene evidente che è in noi, che sembra metterci al di sopra di essi".
3. L'umiltà, come tutte le altre virtù, si attua principalmente nell'anima. Perciò uno può sempre interiormente mettersi al di sotto degli altri, senza dare occasione a nessuno di compromettere la propria salvezza. È questo il senso delle parole di S. Agostino: "Dinanzi a Dio il prelato stia con timore sotto i piedi di tutti voi". Ma negli atti esterni di umiltà, come in quelli delle altre virtù, ci vuole la debita moderazione, per non nuocere ad altri. Se però uno fa quello che deve fare, e gli altri da questo prendono occasione di peccato, non va imputato a chi si comporta con umiltà: poiché questi non scandalizza, sebbene gli altri ne restino scandalizzati.

ARTICOLO 4

Se l'umiltà sia tra le parti della modestia, e quindi della temperanza

SEMBRA che l'umiltà non sia tra le parti della modestia, e quindi della temperanza. Infatti:
1. L'umiltà, come abbiamo visto, riguarda specialmente la riverenza che spinge a sottomettersi a Dio. Ma avere Dio per oggetto è proprio delle virtù teologali. Dunque l'umiltà va posta più tra le virtù teologali che tra le parti della temperanza, ossia della modestia.
2. La temperanza risiede nel concupiscibile. L'umiltà invece è nell'irascibile: come pure la superbia, che è il suo contrario, e che ha per oggetto le cose ardue. Perciò l'umiltà non è tra le parti della temperanza, ossia della modestia.
3. Umiltà e magnanimità hanno il medesimo oggetto, come è evidente dalle cose già dette. Ora, la magnanimità non è annessa alla temperanza, bensì alla fortezza, come sopra abbiamo spiegato. Dunque l'umiltà non è parte potenziale della temperanza, ossia della modestia.

IN CONTRARIO: Origene ha scritto: "Se vuoi sapere il nome di questa virtù, e come sia chiamata dai filosofi, sappi che identica è l'umiltà di cui Dio si compiace, e la virtù che essi chiamano metriotes", cioè misura, ossia moderazione: la quale rientra evidentemente nella modestia, e quindi nella temperanza. - Perciò l'umiltà appartiene alla modestia e alla temperanza.

RISPONDO: Come abbiamo già notato, nell'assegnare le parti potenziali alle virtù si deve badare soprattutto alla somiglianza nella maniera di agire. Ora, la maniera propria della temperanza, che ne costituisce il vanto principale, è il frenare e il reprimere l'impeto di certe passioni. Perciò tutte le virtù che frenano, o reprimono gli impulsi di certi sentimenti, o che moderano certi atti, sono considerate parti potenziali della temperanza. Ora, come la mansuetudine reprime i moti dell'ira, così l'umiltà reprime i moti della speranza che tendono a grandi cose. Quindi, l'umiltà come la mansuetudine va posta tra le parti della temperanza. Dopo tutto anche il Filosofo afferma che colui il quale tende, secondo le proprie capacità, a cose piccole non è magnanimo, bensì "temperante": ossia umile, diremmo noi. - E secondo le spiegazioni date, l'umiltà rientra esattamente nella modestia, nel senso in cui ne parla Cicerone: poiché l'umiltà non è altro che una certa moderazione dello spirito. Di qui l'accenno nell'esortazione di S. Pietro a rimanere "tranquilli nell'incorruttibilità di uno spirito modesto".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le virtù teologali, avendo per oggetto l'ultimo fine, primo principio di tutto l'ordine appetitivo, sono causa di tutte le altre virtù. Perciò il fatto che l'umiltà viene causata dalla riverenza verso Dio non esclude che l'umiltà possa essere parte potenziale della modestia, ossia della temperanza.
2. Le parti potenziali, come abbiamo già detto, vengono assegnate alle virtù principali non in base all'affinità di materia o di subietto, ma in base alla maniera specifica di agire. Quindi, sebbene l'umiltà risieda nell'irascibile, tuttavia per la sua maniera di agire è posta tra le parti della modestia e della temperanza.
3. Magnanimità e umiltà, sebbene abbiano la stessa materia, tuttavia differiscono nella maniera di agire: e per tale ragione la magnanimità è posta tra le parti della fortezza e l'umiltà tra quelle della temperanza.

ARTICOLO 5

Se l'umiltà sia la più grande delle virtù

SEMBRA che l'umiltà sia la più grande delle virtù. Infatti:
1. Il Crisostomo, spiegando la parabola del fariseo e del pubblicano si domanda: "Se l'umiltà accompagnata dai peccati corre così veloce da superare la giustizia accoppiata alla superbia, dove non arriverà se si unisce alla giustizia? Arriverà fino al trono di Dio, in mezzo agli angeli". Da ciò è evidente che l'umiltà è superiore alla giustizia. Ma la giustizia è la più nobile delle virtù, che include in sé tutte le altre, come il Filosofo dimostra. Dunque l'umiltà è la più grande delle virtù.
2. S. Agostino scrive: "Pensi di costruire un alto edificio? Pensa prima a mettervi come fondamento l'umiltà". Dal che si deduce che l'umiltà è il fondamento di tutte le virtù. E quindi è più importante delle altre.
3. Il premio più grande si deve alla virtù principale. Ora, all'umiltà è dovuto il massimo premio: poiché, come dice il Vangelo, "chi si umilia sarà esaltato". Dunque l'umiltà è la più grande delle virtù.
4. Come nota S. Agostino, "tutta la vita terrena di Cristo, nell'umanità che si degnò di assumere, fu un insegnamento morale". Ma egli soprattutto ci ha esortati a imitare la propria umiltà, dicendo: "Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore". E S. Gregorio afferma, che "come causa della nostra salvezza è stata posta l'umiltà di un Dio". Perciò l'umiltà è la più grande delle virtù.

IN CONTRARIO: La carità va preferita a tutte le virtù, secondo l'esortazione di S. Paolo: "Soprattutto abbiate la carità". Dunque l'umiltà non è la virtù più importante.

RISPONDO: La virtù umana consiste nell'ordine della ragione. E questo in primo luogo va desunto dal fine. Perciò le virtù teologali, che hanno per oggetto l'ultimo fine, sono le più importanti.
In secondo luogo l'ordine va desunto dai mezzi in quanto sono ordinati al fine. E questo ordinamento si attua in maniera essenziale nella ragione stessa che lo concepisce: ma per partecipazione si attua anche nelle facoltà appetitive guidate dalla ragione. Ebbene quest'ordine in tutta la sua universalità viene attuato dalla giustizia, specialmente da quella legale. Ma chi rende l'uomo sottomesso a quest'ordine nella sua universalità in tutte le cose è l'umiltà: mentre le altre virtù predispongono così in materie particolari. Perciò dopo le virtù teologali; e le virtù intellettuali che riguardano la ragione stessa; e dopo la giustizia, specialmente legale, la virtù più importante è l'umiltà.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'umiltà non è preferita alla giustizia, ma "alla giustizia accoppiata alla superbia", che così cessa di essere una virtù. Come al contrario con l'umiltà il peccato viene rimesso: infatti del pubblicano si legge, che per merito dell'umiltà "tornò giustificato a casa sua". Di qui le parole del Crisostomo: "Preparami due pariglie: una per la giustizia e la superbia; l'altra per il peccato e l'umiltà. E vedrai il peccato sorpassare la giustizia, non con le proprie forze, ma per quelle dell'umiltà cui è abbinato; e vedrai che l'altra è sorpassata non per la fiacchezza della giustizia, ma per il peso e la tumidità della superbia".
2. Come l'ordinata aggregazione delle virtù viene paragonata a un edificio, così la prima virtù che si richiede nell'acquisto di esse viene paragonata alle fondamenta. Ora, le vere virtù vengono infuse da Dio. Perciò in due modi si può intendere che una virtù è la prima nell'acquisizione delle altre. - Primo, quale removens prohibens. E in tal senso l'umiltà è al primo posto, in quanto scaccia la superbia, a cui Dio resiste, e rende l'uomo sottomesso ed aperto a ricevere l'infusione della grazia divina, togliendo l'ostacolo della superbia, secondo le parole di S. Giacomo: "Dio resiste ai superbi, ma dà la sua grazia agli umili". In tal senso l'umiltà è il fondamento dell'edificio spirituale.
Secondo, una virtù può essere la prima direttamente: quale mezzo per avvicinarsi a Dio. Ora, il primo passo verso Dio si fa con la fede, come dice S. Paolo: "È necessario che chiunque si accosta a Dio creda". E in tal senso si dice che il fondamento è la fede, in un modo più perfetto dell'umiltà.
3. A chi disprezza i beni terreni sono promessi quelli celesti: così a chi disprezza le ricchezze sono promessi i tesori del cielo, secondo le parole evangeliche: "Non accumulate tesori sulla terra, accumulate invece tesori nel cielo"; a chi disprezza le gioie del mondo sono promesse le consolazioni celesti: "Beati quelli che piangono, perché saranno consolati". Allo stesso modo all'umiltà viene promessa l'esaltazione, non perché essa sola la meriti, ma perché è proprio di essa disprezzare le grandezze terrene. Di qui le parole di S. Agostino: "Non credere che chi si umilia debba stare sempre per terra; poiché sta scritto: "Sarà esaltato". E non credere che la sua esaltazione debba avvenire davanti agli uomini con trionfi materiali".
4. Il Cristo ci ha raccomandato più di ogni altra cosa l'umiltà, perché soprattutto con essa si tolgono gli ostacoli dell'umana salvezza, che consiste nel tendere alle cose celesti e spirituali, da cui l'uomo viene distolto con l'attendere alle grandezze terrene. Perciò il Signore, per togliere gli ostacoli della salvezza, con i suoi esempi di umiltà ci ha insegnato a disprezzare la grandezza mondana. E quindi l'umiltà è una predisposizione dell'uomo per ottenere libero accesso ai beni spirituali e divini. Ma come la perfezione stessa è superiore alla predisposizione correlativa, così la carità e le altre virtù, che mettono l'uomo a contatto diretto con Dio, sono superiori all'umiltà.

ARTICOLO 6

Se i dodici gradi dell'umiltà posti nella Regola di S. Benedetto siano giustificati

SEMBRA che non siano giustificati i dodici gradi dell'umiltà posti nella Regola di S. Benedetto: il primo dei quali consiste nel "mostrare dovunque l'umiltà con l'animo e col corpo, tenendo gli occhi fissi a terra"; il secondo "nel dire poche parole e giustificate, senza alzare la voce"; il terzo "nel non essere facile né pronto a ridere"; il quarto nel "conservare la taciturnità fino a che non si è interrogati"; il quinto nel "seguire la regola comune del monastero"; il sesto nel "credere e protestare di essere il più vile di tutti"; il settimo nel "protestarsi e nel credersi inutile e incapace di tutto"; l'ottavo consiste nella "confessione delle colpe"; il nono nell'"accettare pazientemente l'obbedienza nelle cose dure e difficili"; il decimo "nel sottomettersi per obbedienza ai superiori"; l'undicesimo "nel non fare volentieri la propria volontà"; il dodicesimo "nel temere Dio e nel ricordare tutto quello che egli ha comandato". Infatti:
1. In questo elenco sono incluse delle cose che riguardano altre virtù, come l'obbedienza e la pazienza. Inoltre ce ne sono altre che non sono tollerabili con nessuna virtù, perché son false: p. es., il "protestare di essere il più vile di tutti", e il "protestarsi e il credersi incapace e inutile in tutto". Perciò non è giusto mettere queste cose tra i gradi dell'umiltà.
2. L'umiltà, come le altre virtù, va dagli atti interni a quelli esterni. Perciò non è giusto metter prima, come nei gradi suddetti, ciò che riguarda gli atti esterni.
3. S. Anselmo elenca sette gradi di umiltà: il primo dei quali sta nel "riconoscersi degni di disprezzo"; il secondo nell'"addolorarsi di questo"; il terzo "nel confessarlo apertamente"; il quarto "nel convincerne gli altri", cioè nel volere che si creda; il quinto "nel sopportare con pazienza che ciò si dice"; il sesto "nel tollerare di essere trattati con disprezzo"; il settimo "nell'amare tutto questo". Perciò i gradi suddetti sono troppi.
4. Nel commentare il Vangelo la Glossa afferma: "La perfetta umiltà ha tre gradi. Il primo sta nel sottomettersi ai superiori, senza preferirsi agli uguali: ed è l'umiltà sufficiente. Il secondo consiste nel sottomettersi agli uguali, senza preferirsi agli inferiori: e questa è abbondante. Il terzo grado sta nel mettersi al di sotto degli inferiori: e allora si ha la totale giustizia". Dunque i gradi suddetti sono superflui.
5. S. Agostino ha scritto: "La misura dell'umiltà per ciascuno deve essere la propria grandezza: cioè (dev'essere tanto più grande) quanto è più pericolosa la superbia, che insidia maggiormente i grandi". Ma la misura della grandezza umana non si può fissare in un determinato numero di gradi. Perciò è impossibile stabilire i gradi dell'umiltà.

RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, l'umiltà consiste essenzialmente negli atti del volere, con i quali si tengono a freno gli impulsi disordinati del proprio animo verso le cose grandi: essa però ha la sua regola nella conoscenza, in modo che uno non si stimi più di quello che è. Principio e radice di questi atti (della volontà e della ragione) è la riverenza che si ha verso Dio. Finalmente dall'atteggiamento interiore dell'umiltà derivano dei segni esterni, parole, azioni, gesti, che manifestano l'interno, come avviene per le altre virtù: poiché, come dice la Scrittura, "l'uomo sensato si conosce dall'aspetto e dal modo di presentarsi".
Perciò nei suddetti gradi dell'umiltà si riscontra un elemento che fa parte della radice dell'umiltà: cioè il dodicesimo grado che consiste "nel temere Dio, e nel ricordare tutto quello che ha comandato".
Ci sono poi elementi che riguardano la volontà: affinché non si cerchi disordinatamente la propria eccellenza. Il che si ottiene in tre modi. Primo, non assecondando la propria volontà: il che è ricordato dall'undicesimo grado. - Secondo, regolandola ad arbitrio del superiore: come si ha nel decimo. - Terzo, non desistendo a motivo delle cose dure e difficili che possono capitare: e questo è proprio del grado nono.

Ci sono anche degli elementi relativi alla disistima che uno deve avere di se stesso nel riconoscere i propri difetti. E anche questo si ottiene in tre modi. Primo, riconoscendo e confessando i propri difetti: ottavo grado. - Secondo, stimandosi incapace di cose importanti in considerazione delle proprie deficienze: ed è il grado settimo. - Terzo, non mettendosi per questo al di sopra degli altri: il che è proprio del grado sesto.
Ci sono finalmente dei dati che riguardano i segni esterni. Il primo dei quali si ha negli atti, e consiste nel non discostarsi dalla regola comune: quinto grado. - Ci sono poi due gradi i quali riguardano le parole: che non si parli prima del tempo, ed è il quarto; e che non si passi la misura, come si dice nel secondo. - Gli altri gradi riguardano i gesti: la modestia degli occhi, raccomandata dal primo grado; e la repressione del riso e degli altri segni di gioia spensierata, raccomandata dal terzo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Uno può, senza falsità, "credersi e protestarsi il più vile di tutti" in base ai difetti occulti che riconosce in se stesso, e ai doni di Dio nascosti negli altri. Di qui l'esortazione di S. Agostino: "Stimate a voi nascostamente superiori quelli cui siete migliori all'apparenza".
Parimenti uno senza falsità può "protestare e credere di essere incapace ed inutile in tutto", considerando le proprie forze, attribuendo a Dio la propria capacità; come consiglia S. Paolo: "Non che da noi stessi siamo in grado di pensare qualche cosa, come fosse da noi, ma la sufficienza nostra viene da Dio".
E neppure ci sono inconvenienti ad attribuire all'umiltà gli atti propri di altre virtù. Poiché come un vizio può nascere da un altro, così naturalmente l'atto di una virtù deriva dall'atto di un'altra.
2. Due sono le vie per cui l'uomo può raggiungere l'umiltà. La prima e principale è mediante la grazia. E in questo caso le disposizioni interne precedono quelle esterne. - La seconda è lo sforzo personale: e in questo caso l'uomo prima si frena negli atti esterni, e poi arriva a estirparne l'intima radice. Ed è in quest'ordine che ha disposto i suoi gradi S. Benedetto.
3. Tutti i gradi elencati da S. Anselmo si riducono a riconoscere, a manifestare e a volere la propria abiezione. Infatti il primo grado si riduce alla conoscenza della propria miseria. - Siccome però sarebbe riprovevole amarla, ciò si esclude mediante il secondo grado. - La manifestazione della propria miseria è promossa dal terzo e dal quarto grado; cosicché uno non si limita a denunziarla, ma cerca di renderne persuasi gli altri. - I tre gradi che rimangono riguardano la volontà. Ed è il caso di chi non cerca la propria eccellenza, ma sopporta pazientemente il disprezzo, sia in parole che in atti: poiché come scrive S. Gregorio, "non è gran cosa essere umili di fronte a chi ci onora, poiché lo fanno gli stessi mondani; ma dobbiamo essere umili specialmente con quelli che ci offendono". E abbiamo in questo il quinto e il sesto grado. - C'è finalmente chi abbraccia volentieri l'abiezione: ed è il settimo grado. - Perciò tutti questi sette gradi rientrano nel sesto e nel settimo di S. Benedetto.
4. Quei tre gradi non derivano dalla natura stessa dell'umiltà; ma dai rapporti con altri uomini, i quali sono o superiori, o inferiori, o uguali.
5. Anche quell'ultima graduatoria non scaturisce dalla natura dell'umiltà, come i gradi di S. Benedetto, ma dalle diverse condizioni umane.