Il Santo Rosario

La Speranza

Summa Theologiae

Somma Teologica II-II, q. 17

La speranza

Dopo la fede è logico trattare della speranza. Primo, direttamente della speranza; secondo, del dono del timore; terzo, dei vizi contrari; quarto, dei precetti relativi a questo argomento.
Sul primo tema si affaccia per prima la considerazione della speranza in se stessa; e in secondo luogo quella relativa alla sua sede.
Sulla speranza si pongono otto quesiti: 1. Se la speranza sia una virtù; 2. Se abbia per oggetto la beatitudine eterna; 3. Se uno, con la virtù della speranza, possa sperare la beatitudine di un altro; 4. Se si possa sperare lecitamente nell'uomo; 5. Se la speranza sia una virtù teologale; 6. Come essa sia distinta dalle altre virtù teologali; 7. Quali siano i suoi rapporti con la fede; 8. Quali i suoi rapporti con la carità.

ARTICOLO 1

Se la speranza sia una virtù

SEMBRA che la speranza non sia una virtù. Infatti:
1. "Nessuno usa male della virtù", insegna S. Agostino. Invece c'è chi usa male della speranza: poiché nella passione della speranza, come nelle altre passioni, c'è il giusto mezzo e ci sono gli estremi. Perciò la speranza non è una virtù.
2. Nessuna virtù deriva dai meriti: poiché, come dice S. Agostino, "la virtù Dio la produce in noi senza di noi". Ora, la speranza, secondo l'espressione del Maestro delle Sentenze, "deriva dalla grazia e dai meriti". Dunque la speranza non è una virtù.

3. Come Aristotele insegna, "la virtù è disposizione di un essere perfetto". Invece la speranza è disposizione di un essere imperfetto, cioè di uno che non ha ciò che spera. Quindi la speranza non è una virtù.

IN CONTRARIO: S. Gregorio afferma che le tre figlie di Giobbe stanno a indicare le tre virtù della fede, della speranza e della carità. Dunque la speranza è una virtù.

RISPONDO: Secondo il Filosofo, "in tutti gli esseri è virtù ciò che rende buono chi la possiede e l'azione che essi compiono". Perciò dove troviamo un atto umano buono, deve esserci una virtù umana corrispondente. Ora, in tutte le cose soggette a una regola, o misura, la bontà si desume dalla loro adeguazione alla regola propria: diciamo, p. es., essere buona quella veste che non eccede e non è al di sotto della giusta misura. Ma gli atti umani, come sopra si disse, hanno due sorta di misure: la prima, prossima e connaturale, è la ragione; la seconda, suprema e trascendente, è Dio. Ecco perché ogni atto umano, che si adegua alla ragione, o a Dio medesimo, è buono. Ora, l'atto della speranza della quale parliamo si adegua a Dio. Infatti, come abbiamo detto sopra trattando della speranza-passione, oggetto della speranza è un bene futuro, arduo e raggiungibile. E una cosa per noi può essere raggiungibile in due maniere: primo, direttamente da noi stessi; secondo, per mezzo di altri, come spiega Aristotele. Ebbene, in quanto speriamo qualche cosa come raggiungibile da noi mediante l'aiuto di Dio, la nostra speranza si adegua a Dio stesso, sul cui aiuto essa si fonda. Perciò è evidente che la speranza è una virtù: portando l'atto umano ad adeguarsi alla debita misura.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nelle passioni il giusto mezzo della virtù viene determinato in base all'adeguazione di esse alla retta ragione: e in questo si riscontra l'aspetto di virtù. Perciò anche nella speranza il bene proprio della virtù si ha nel fatto che l'uomo, sperando, raggiunge la debita misura, cioè Dio. Ecco perché nessuno nel raggiungere Dio con la speranza può abusare di essa, come non può abusare di una virtù morale chi si adegua alla ragione: poiché l'adeguazione stessa è il buon uso della virtù. Tuttavia la speranza di cui ora parliamo non è una passione, ma un abito dell'anima, come vedremo.
2. Si dice che la speranza proviene dai meriti nel senso che essi rientrano tra le cose stesse che si attendono: cioè per il fatto che uno spera di raggiungere la beatitudine con la grazia e anche con i meriti. Oppure l'espressione va riferita all'atto della speranza formata. Ma l'abito stesso della speranza, mediante il quale uno aspetta la beatitudine, non viene causato dai meriti, bensì esclusivamente dalla grazia.
3. Chi spera è in uno stato di imperfezione rispetto a ciò che spera di raggiungere, e che ancora non possiede: ma è già perfetto per il fatto che già si adegua alla propria misura, cioè a Dio, sull'aiuto del quale si fonda.

ARTICOLO 2

Se la beatitudine eterna sia l'oggetto proprio della speranza

SEMBRA che la beatitudine eterna non sia l'oggetto proprio della speranza. Infatti:
1. L'uomo non spera ciò che sorpassa qualsiasi moto del suo spirito: poiché l'atto della speranza è un moto dell'animo. Ora, la beatitudine eterna sorpassa qualsiasi moto dello spirito umano: infatti, a detta dell'Apostolo, essa "non ascese al cuore dell'uomo". Dunque la beatitudine non è l'oggetto proprio della speranza.
2. La preghiera è l'interprete della speranza; poiché sta scritto nei Salmi: "Mostra al Signore la tua via, spera in lui ed egli agirà". Ora, come è evidente dal Pater Noster, l'uomo chiede lecitamente a Dio non soltanto la beatitudine eterna, ma anche i beni della vita presente, sia spirituali che temporali, così pure la liberazione dei mali, che mancheranno del tutto nella beatitudine eterna. Perciò la beatitudine eterna non è l'oggetto proprio della speranza.
3. Oggetto della speranza sono le cose ardue. Però per l'uomo non è ardua soltanto la beatitudine eterna, ma sono ardue molte altre cose. Dunque la beatitudine eterna non è l'oggetto proprio della speranza.

IN CONTRARIO: L'Apostolo, afferma: "Abbiamo una speranza che penetra al di là del velo", "ossia che fa penetrare", come dice la Glossa, "nella beatitudine celeste". Quindi la beatitudine eterna è l'oggetto della speranza.

RISPONDO: Abbiamo detto nell'articolo precedente che la speranza di cui parliamo raggiunge Dio stesso, fondandosi sul suo aiuto, per conseguire il bene sperato. Ora, l'effetto è necessario che sia proporzionato alla causa. Perciò il bene che propriamente e principalmente dobbiamo sperare da Dio è un bene infinito, proporzionato alla virtù divina che viene in nostro aiuto: infatti è proprio di una virtù infinita condurre ad un bene infinito. Ma questo bene è la vita eterna, che consiste nella fruizione di Dio medesimo: poiché da lui non si deve sperare qualche cosa che sia al di sotto di Dio medesimo, dal momento che la sua bontà, mediante la quale comunica il bene alle creature, non è che la sua stessa essenza. Perciò l'oggetto proprio e principale della speranza è la beatitudine eterna.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine eterna non può ascendere perfettamente nel cuore dell'uomo, così da far conoscere all'uomo viatore quale essa sia; ma può essere percepita dall'uomo secondo un concetto generico, cioè come il bene perfetto. Ed è così che il moto della speranza muove verso di essa. Ecco perché l'Apostolo dice espressamente che la speranza penetra "al di là del velo": poiché quanto speriamo è ancora velato per noi.
2. Non dobbiamo chiedere a Dio nessun altro bene, che in ordine alla beatitudine eterna. Perciò la speranza riguarda principalmente la felicità eterna; e tutte le altre cose che si chiedono a Dio le considera come secondarie, e in ordine a codesta felicità. Esattamente come la fede, la quale principalmente ha per oggetto Dio, e secondariamente le cose che a Dio sono ordinate, come sopra abbiamo spiegato.
3. A un uomo che aspira a qualche cosa di grande sembra piccolo tutto ciò che è al di sotto di quello scopo. Ecco perché chi spera la beatitudine eterna niente considera arduo a confronto di tale speranza. Ma in rapporto alle capacità di chi spera, possono essere ardue anche altre cose. E sotto tale aspetto queste pure possono essere oggetto di speranza, sempre in ordine all'oggetto principale di essa.

ARTICOLO 3

Se uno possa sperare la beatitudine eterna di un altro

SEMBRA che uno possa sperare la beatitudine eterna di altri. Infatti:
1. L'Apostolo scrive: "Sperando appunto in questo che chi ha cominciato in voi l'opera buona la porti a perfezione fino al giorno di Cristo Gesù". Ora, la perfezione di quel giorno sarà la beatitudine eterna. Dunque uno può sperare per altri la beatitudine eterna.
2. Ciò che noi chiediamo a Dio, speriamo di ottenerlo. Ma a Dio chiediamo di condurre gli altri alla felicità eterna, secondo le parole di S. Giacomo: "Pregate l'uno per l'altro, per essere salvi". Dunque possiamo sperare per altri la beatitudine eterna.
3. Speranza e disperazione hanno il medesimo oggetto. Ora, uno può disperare della beatitudine eterna di qualcuno: altrimenti non si spiegherebbe l'affermazione di S. Agostino, che "non si deve disperare di nessuno durante la sua vita". Perciò uno può sperare la vita eterna di altri.

IN CONTRARIO: S. Agostino insegna, che "non si ha vera speranza che per le cose riguardanti colui che è interessato al loro conseguimento".

RISPONDO: Una cosa può essere oggetto di speranza in due maniere. Primo, in senso assoluto: e in questo modo lo è soltanto il bene arduo del soggetto che spera. Secondo, (in senso ipotetico, cioè) presupponendo altre cose: e così può essere oggetto di speranza anche il bene altrui. Per chiarire la cosa bisogna notare che l'amore e la speranza differiscono in questo, che il primo implica una certa unione di chi ama con l'oggetto amato; invece la speranza implica un moto, o tendenza dell'appetito verso un bene arduo. Ora, l'unione interessa sempre due esseri distinti: ecco perché nell'amore uno riguarda direttamente un altro che tende ad unire a sé, considerandolo un altro se stesso. Invece un moto ha per oggetto il termine proprio proporzionato alla mozione: quindi la speranza riguarda direttamente il proprio bene, non già quanto può interessare altri. Però, presupposta l'unione affettiva con altri, uno può desiderare e sperare qualche cosa per essi come per se medesimo. In tal senso uno può sperare ad altri la vita eterna, in quanto è unito ad essi con l'amore. E come è identica la carità con la quale uno ama Dio, se stesso e il prossimo, così è identica la virtù della speranza con la quale si spera per sé e per altri.
Sono così risolte anche le difficoltà.

ARTICOLO 4

Se si possa sperare lecitamente nell'uomo

SEMBRA che si possa sperare lecitamente nell'uomo. Infatti:
1. Oggetto della speranza è la beatitudine eterna. Ora, per conseguire codesta beatitudine troviamo aiuto nel patrocinio dei santi: poiché S. Gregorio insegna, che "la predestinazione ha un aiuto dalle preghiere dei santi". Dunque si può sperare nell'uomo.
2. Se non si potesse sperare nell'uomo, non si dovrebbe considerare peccaminoso il fatto che uno si rende tale da non ispirare fiducia. Ma ad alcuni ciò viene rimproverato, come appare da quelle parole di Geremia: "Ciascuno stia in guardia dal suo prossimo, e non si fidi d'alcuno dei suoi fratelli". Perciò è lecito sperare nell'uomo.
3. La preghiera di domanda, come abbiamo detto, è l'interprete della speranza. Ma un uomo può chiedere qualche cosa a un altro uomo. Quindi può sperare lecitamente da lui.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "Maledetto l'uomo che ha fiducia nell'uomo".

RISPONDO: Come abbiamo già visto, la speranza ha di mira due cose: il bene cui si aspira, e l'aiuto col quale esso si raggiunge. Ora, il bene che uno spera di raggiungere ha funzione di causa finale; invece l'aiuto col quale spera di raggiungerlo ha natura di causa efficiente. Ma in tutti e due i generi di causalità c'è l'elemento principale e quello secondario. Infatti fine principale è il fine ultimo; mentre è fine secondario il bene che serve come mezzo per il raggiungimento del fine. Parimente causa efficiente principale è il primo agente; e causa efficiente secondaria è la causa agente secondaria e strumentale. Ora, la speranza ha di mira la beatitudine eterna come ultimo fine, e l'aiuto di Dio come causa prima che porta alla beatitudine. Perciò, come non è lecito sperare un bene diverso dalla beatitudine quale ultimo fine, ma solo quale mezzo ad essa subordinato; così non è lecito sperare in un uomo, o in altra creatura, come se si trattasse di una causa prima, capace di condurre alla beatitudine. Mentre è lecito sperare da un uomo, o da altre creature, se si considerano quali agenti secondari e strumentali, capaci di servire al conseguimento di certi beni ordinati alla beatitudine. - È così che noi ci rivolgiamo ai santi, e chiediamo anche agli uomini determinate cose; ed è per questo che vengono rimproverati coloro dai quali non si può sperare un aiuto.
Così sono risolte anche le difficoltà.

ARTICOLO 5

Se la speranza sia virtù teologale

SEMBRA che la speranza non sia virtù teologale. Infatti:
1. Si dice teologale quella virtù che ha Dio per oggetto. Ora, la speranza non ha per oggetto soltanto Dio, ma anche altri beni che speriamo ottenere da lui. Dunque la speranza non è una virtù teologale.
2. Abbiamo già visto che una virtù teologale non sta come termine intermedio tra due vizi. Invece la speranza sta tra la presunzione e la disperazione. Perciò non è virtù teologale.
3. L'attesa appartiene alla longanimità, che è una specie della fortezza. Ora, essendo la speranza una specie di attesa, non sembra che possa essere virtù teologale, ma piuttosto morale.
4. Oggetto della speranza sono le cose ardue. Ma tendere alle cose ardue è compito della magnanimità, che è una virtù morale. Quindi la speranza è virtù morale, e non teologale.

IN CONTRARIO: S. Paolo enumera la speranza con la fede e la carità, che sono virtù teologali.

RISPONDO: Un genere viene diviso propriamente dalle sue differenze specifiche; perciò bisogna guardare da che cosa la speranza desume la ragione di virtù, per sapere in quale categoria di virtù debba essere collocata. Ora, noi abbiamo visto sopra che la speranza ha natura di virtù per il fatto che si adegua alla suprema regola degli atti umani: considerandola, sia come prima causa efficiente, in quanto si fonda sull'aiuto di essa, sia come causa finale ultima, in quanto attende la beatitudine nella fruizione della medesima. Da ciò è evidente che l'oggetto principale della speranza, in quanto virtù, è Dio stesso. E poiché la nozione di virtù teologale consiste nell'avere Dio per oggetto, come fu spiegato in precedenza, è chiaro che la speranza è una virtù teologale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutte le altre cose che la speranza conta di raggiungere, spera di farlo, secondo le spiegazioni date, in ordine a Dio come ad ultimo fine e come a prima causa efficiente.
2. Nelle cose soggette a una regola, o misura, il giusto mezzo consiste nell'adeguarsi alla regola, o misura: se si sorpassa la regola abbiamo il superfluo; e se si sta al di sotto abbiamo una menomazione. Ma nella regola stessa non si può determinare il giusto mezzo e i due estremi. Ora, le virtù morali hanno per oggetto proprio cose regolate dalla ragione: ecco perché è proprio di esse in forza del loro oggetto stare nel giusto mezzo. Ma le virtù teologali hanno per oggetto la regola prima e suprema, non regolata da altre regole. Perciò di suo e in forza del proprio oggetto alle virtù teologali non spetta di stare in un dato intermedio. Questo può loro competere per accidens, in forza di ciò che è subordinato all'oggetto principale. La fede, p. es., non può avere un giusto mezzo e termini estremi nell'aderire alla prima verità, poiché nessuno può eccedere in questa adesione: ma per le cose credute, ci possono essere il giusto mezzo e i due estremi, in quanto una verità sta come termine intermedio tra due errori. Parimente la speranza non ha un termine medio e i due estremi per quanto riguarda l'oggetto principale, poiché nessuno può eccedere nel confidare nell'aiuto di Dio: ma in rapporto alle cose che uno spera di raggiungere ci possono essere il giusto mezzo e gli estremi, o perché uno presume cose superiori alla sua condizione, o perché non spera cose che a lui sono proporzionate.
3. L'attesa di cui si parla nella definizione della speranza non implica dilazione, come l'attesa che interessa la longanimità: ma implica soltanto un rapporto all'aiuto divino, non solo quando la cosa sperata viene differita, ma anche quando è imminente.
4. La magnanimità tende alle cose ardue, sperando ciò che è in potere di chi spera. Perciò propriamente riguarda le opere dei grandi. Invece la speranza virtù teologale ha di mira cose ardue da raggiungere, come abbiamo detto, mediante l'aiuto di altri.

ARTICOLO 6

Se la speranza sia una virtù distinta dalle altre virtù teologali

SEMBRA che la speranza non sia una virtù distinta dalle altre virtù teologali. Infatti:
1. Come sopra abbiamo dimostrato, gli abiti si distinguono tra loro secondo gli oggetti. Ora, l'oggetto della speranza e delle altre virtù teologali è identico. Dunque la speranza non si distingue dalle altre virtù teologali.
2. Nel simbolo, col quale professiamo la nostra fede, diciamo: "Attendo la resurrezione dei morti e la vita del secolo futuro". Ora, l'attesa della futura beatitudine appartiene, come si è detto, alla speranza. Perciò la speranza non si distingue dalla fede.
3. Con la speranza l'uomo tende a Dio. Ma questo appartiene in proprio alla carità. Dunque la speranza non è distinta dalla carità.

IN CONTRARIO: Dove non c'è distinzione non c'è pluralità numerica. Ma la speranza viene enumerata con le altre virtù teologali: infatti S. Gregorio insegna che fede, speranza e carità sono tre virtù. Quindi la speranza è una virtù distinta dalle altre virtù teologali.

RISPONDO: Una virtù si dice teologale per il fatto che ha Dio per oggetto cui si volge. Ora, uno può volgersi a un oggetto in due maniere: primo, per l'oggetto medesimo; secondo, per giungere ad altre cose in forza di esso. Ebbene, la carità fa volgere a Dio per se stesso, unendo a lui l'anima con l'affetto dell'amore. Invece la speranza e la fede ci fanno volgere a Dio come a un principio, dal quale ci derivano dei beni.
Da Dio infatti derivano a noi la conoscenza della verità e il conseguimento della perfetta beatitudine. Perciò la fede fa volgere l'uomo a Dio in quanto questi è principio per conoscere la verità: poiché noi crediamo vere le cose che ci sono rivelate da Dio. E la speranza ci fa volgere a Dio in quanto egli è per noi principio della perfetta beatitudine: cioè in quanto mediante la speranza contiamo sull'aiuto divino per raggiungere la perfetta felicità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio è oggetto di codeste virtù secondo ragioni distinte, come abbiamo spiegato. E per una distinzione di abiti basta una diversa ragione oggettiva.
2. L'attesa si trova nel simbolo non perché sia un atto proprio della fede; ma perché l'atto della speranza presuppone la fede, come diremo, e a loro volta gli atti della fede vengono manifestati da quelli della speranza.
3. La speranza fa tendere a Dio come a un bene finale da raggiungere, e come a un aiuto atto a soccorrere. Invece la carità fa tendere a Dio unendo a lui l'affetto dell'uomo, sicché questi non viva più per sé ma per Dio.

ARTICOLO 7

Se la speranza preceda la fede

SEMBRA che la speranza preceda la fede. Infatti:
1. Nel commentare quel passo dei Salmi: "Confida nel Signore e fa' il bene", la Glossa afferma, che "la speranza è un'introduzione alla fede, e inizio della salvezza". Ora, la salvezza dipende dalla fede, dalla quale siamo giustificati. Dunque la speranza precede la fede.
2. Quanto si trova nella definizione di una cosa dev'essere prima e più noto di essa. Ma la speranza si trova nella definizione della fede data da S. Paolo: "Fede è cominciamento di cose sperate". Perciò la speranza è prima della fede.
3. La speranza precede l'atto meritorio: poiché l'Apostolo insegna, che "chi ara deve arare con la speranza di raccogliere i frutti". Ora, l'atto della fede è meritorio. Dunque la speranza precede la fede.

IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge: "Abramo generò Isacco", cioè, come spiega la Glossa, "la fede generò la speranza".

RISPONDO: Assolutamente parlando, la fede precede la speranza. Infatti oggetto della speranza è il bene futuro arduo, possibile a conseguirsi. Quindi perché uno speri, si richiede che l'oggetto della speranza gli sia proposto come raggiungibile. Ora, oggetto della speranza è in un senso la beatitudine eterna, e in altro senso l'aiuto di Dio, come sopra abbiamo visto. E sia l'una che l'altra cosa è a noi proposta dalla fede, la quale ci fa conoscere che possiamo raggiungere la vita eterna, e che è a nostra disposizione l'aiuto di Dio; poiché sta scritto: "Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che è rimuneratore di quelli che lo cercano". Perciò è chiaro che la fede precede la speranza.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come la Glossa aggiunge nel passo citato, la speranza si dice introduzione alla fede, cioè alle cose credute, "perché mediante la speranza si giunge a vedere quanto abbiamo creduto". - Oppure si può affermare che è introduzione alla fede in quanto dà stabilità e perfezione alla fede di un uomo.
2. Nella definizione della fede troviamo le cose sperate, perché l'oggetto della fede è per se stesso inevidente. Quindi era necessario designarlo, con una circonlocuzione, mediante cose che vengono dopo la fede.
3. Non è detto che tutti gli atti meritori debbano essere preceduti dalla speranza: ma basta che siano accompagnati o seguiti da essa.

ARTICOLO 8

Se la carità sia prima della speranza

SEMBRA che la carità sia prima della speranza. Infatti:
1. S. Ambrogio, commentando quel passo evangelico: "Se voi aveste tanta fede quanto un granello di senapa", afferma che "dalla fede viene la carità, e dalla carità la speranza". Ma la fede è prima della carità. Dunque la carità è prima della speranza.
2. S. Agostino insegna, che "i moti e gli affetti buoni provengono dall'amore e dalla santa carità". Ma sperare, in quanto atto della speranza, è un moto buono dell'animo. Perciò esso deriva dalla carità.
3. Il Maestro delle Sentenze scrive, che "la speranza proviene dai meriti, i quali precedono non soltanto le cose sperate, ma anche la speranza, che per natura è preceduta dalla carità". Dunque la carità precede la speranza.

IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna: "Fine del precetto è l'amore che procede da un cuore puro e da una coscienza buona", cioè, come aggiunge la Glossa, "dalla speranza". Dunque la speranza è prima della carità.

RISPONDO: Esistono due tipi di ordine. Il primo segue la via della generazione e della materia, e va da ciò che è imperfetto al perfetto. Il secondo è l'ordine della perfezione e della forma: e in base ad esso ciò che è perfetto è prima per natura di quanto è imperfetto. Ebbene, stando al primo, la speranza è prima della carità. Ed eccone la dimostrazione. La speranza, come ogni altro moto appetitivo, deriva dall'amore, come abbiamo visto sopra nel trattato delle passioni. Esiste però un amore perfetto e un amore imperfetto. L'amore perfetto è quello col quale uno viene amato per se stesso, ed è colui al quale si vuole del bene: è così appunto che uno ama il suo amico. L'amore imperfetto è quello col quale uno ama una cosa non per se stessa, ma per appropriarsi il bene di essa: ed è così che un uomo ama le cose di cui ha il desiderio o concupiscenza. Ora, amare Dio con quel primo amore è proprio della carità, la quale aderisce a Dio per se stesso: la speranza invece consiste nel secondo, poiché chi spera tende a ottenere qualche cosa per se medesimo. Ecco perché in ordine genetico la speranza precede la carità. Infatti come uno si dispone ad amare Dio, a detta di S. Agostino, per il fatto che cessa dal peccato nel timore di essere da lui punito; così la speranza predispone alla carità, in quanto uno, nella speranza di essere ricompensato da Dio, si infervora ad amarlo, e a osservarne i comandamenti. - Ma in ordine di perfezione la carità è prima per natura. Perciò, al sopraggiungere della carità, la speranza diviene più perfetta: poiché dagli amici speriamo nel modo più assoluto. E in tal senso S. Ambrogio afferma che la speranza viene dalla carità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta la prima obiezione.
2. La speranza, come ogni altro moto appetitivo, deriva da un amore, cioè dal fatto che uno ama il bene che attende. Ma non qualsiasi speranza proviene dalla carità: bensì i soli moti della speranza formata, in forza della quale uno spera il bene da Dio come da un amico.
3. Il Maestro delle Sentenze parla della speranza formata, che la carità precede in ordine di natura, come precede i meriti da essa causati.