Il Santo Rosario

La Fede

Summa Theologiae

Somma Teologica II-II, q. 1

L'oggetto della fede

Dovendo trattare delle virtù teologali, troviamo al primo posto la fede, al secondo la speranza, al terzo la carità. E a proposito della fede si presentano quattro argomenti: primo, la fede in se stessa; secondo, i doni corrispondenti dell'intelletto e della scienza; terzo, i vizi opposti; quarto, i precetti relativi a questa virtù. Nella fede poi dobbiamo considerare: primo, l'oggetto; secondo, l'atto; terzo, l'abito.
A proposito dell'oggetto tratteremo dieci argomenti: 1. Se l'oggetto della fede sia la prima verità; 2. Se l'oggetto della fede sia qualche cosa di semplice o di composto, se sia cioè la cosa o l'enunciato; 3. Se la fede possa poggiare sul falso; 4. Se oggetto della fede possano essere le cose che si vedono; 5. Se possano esserlo le cose di cui si ha la scienza; 6. Se le verità di fede debbano essere distinte in un certo numero di articoli; 7. Se in tutti i tempi furono oggetto di fede i medesimi articoli; 8. Il numero di codesti articoli; 9. La redazione degli articoli del simbolo; 10. A chi spetti costituire il simbolo della fede.

ARTICOLO 1

Se l'oggetto della fede sia la prima verità

SEMBRA che oggetto della fede non sia la prima verità. Infatti:
1. Oggetto della fede è quanto viene proposto per essere da noi creduto. Ora, ci viene proposto così non soltanto ciò che riguarda Dio, che è la prima verità, ma anche quanto riguarda l'umanità di Cristo, i sacramenti della Chiesa, e la creazione delle cose. Dunque oggetto della fede non è soltanto la prima verità.
2. Fede e incredulità riguardano le stesse cose, essendo contrarie tra loro. Ora, uno può peccare di incredulità su tutto ciò che è racchiuso nella Sacra Scrittura: uno infatti è reputato incredulo, se nega una qualsiasi affermazione di essa. Perciò anche la fede riguarda tutto ciò che è racchiuso nella Sacra Scrittura. Ma in questa ci sono molte cose che riguardano gli uomini e altri esseri creati. Quindi oggetto della fede non è soltanto la prima verità, ma anche la verità creata.
3. Fede e carità, come abbiamo visto, si corrispondono. Ora, con la carità noi amiamo non soltanto Dio, ma anche il prossimo. Dunque oggetto della fede non è soltanto la prima verità.

IN CONTRARIO: Dionigi insegna, che "la fede riguarda la verità semplice e sempre esistente". Ma questa è la prima verità. Quindi la prima verità è l'oggetto della fede.

RISPONDO: Nell'oggetto di qualsiasi abito conoscitivo si devono distinguere due cose: la cosa che materialmente viene conosciuta, la quale costituisce come l'oggetto materiale; e la cosa per cui si conosce, e che costituisce la ragione formale dell'oggetto. Nella geometria, p. es., l'oggetto materiale è costituito dalle conclusioni conosciute; mentre la ragione formale della scienza stessa consiste nei principi dimostrativi, che permettono di conoscere le conclusioni. Lo stesso si dica della fede: se consideriamo la ragione formale dell'oggetto, essa non ha altro oggetto che la prima verità, poiché la fede di cui parliamo non accetta verità alcuna, se non in quanto è rivelata da Dio; perciò si appoggia alla verità divina come a suo principio. Se invece consideriamo materialmente le cose accettate dalla fede, oggetto di questa non è soltanto Dio, ma molte altre cose. Queste però non vengono accettate dalla fede, se non in ordine a Dio: cioè solo in quanto l'uomo viene aiutato nel cammino verso la fruizione di Dio dalle opere di lui. Perciò anche da questo lato in qualche modo oggetto della fede è sempre la prima verità, poiché niente rientra nella fede, se non in ordine a Dio: cioè come la salute è oggetto della medicina, poiché niente è considerato dalla medicina, se non in ordine alla salute.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le verità riguardanti l'umanità di Cristo, i sacramenti della Chiesa e una qualsiasi creatura rientrano nella fede in quanto servono a indirizzarci a Dio. E accettiamo anche queste per la veracità di Dio.
2. Lo stesso vale per tutte le verità che ci sono insegnate dalla Sacra Scrittura.
3. Anche la carità ama il prossimo per Dio; e quindi propriamente il suo oggetto è Dio stesso, come vedremo in seguito.

ARTICOLO 2

Se l'oggetto della fede sia qualche cosa di composto a guisa di enunciato

SEMBRA che l'oggetto della fede non sia qualche cosa di composto a guisa di enunciato. Infatti:
1. Oggetto della fede, come abbiamo detto, è la prima verità. Ma la prima verità è qualche cosa di semplice. Quindi l'oggetto della fede non è qualche cosa di composto.
2. È nel simbolo che noi troviamo la formula della fede. Ora, nel simbolo non troviamo gli enunciati, ma le cose: infatti non vi si dice che Dio è onnipotente, ma semplicemente: "Io credo in Dio onnipotente". Dunque oggetto della fede non sono gli enunciati, ma le cose.
3. Alla fede deve succedere la visione; poiché sta scritto: "Adesso noi vediamo attraverso uno specchio in enigma, allora vedremo faccia a faccia". Ma la visione della patria ha di mira una realtà semplice: quale è la divina essenza. Perciò lo stesso è della fede in questa vita.

IN CONTRARIO: La fede è qualcosa di intermedio tra la scienza e l'opinione. Ora, le cose intermedie appartengono allo stesso genere degli estremi. E poiché la scienza e l'opinione hanno per oggetto degli enunciati, lo stesso si deve dire della fede. E quindi l'oggetto della fede, avendo di mira degli enunciati, è qualche cosa di composto.

RISPONDO: Le cose conosciute sono in chi le conosce secondo la natura del conoscente. Ora, è proprio nella natura dell'intelletto umano conoscere la verità componendo e dividendo, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Perciò l'intelletto umano conosce le cose che sono semplici in se stesse in una certa composizione: come, al contrario, l'intelletto divino conosce in maniera semplice anche le cose che di per sé sono composte. Dunque l'oggetto della fede si può considerare sotto due aspetti. Primo, dal lato delle cose credute: e allora l'oggetto della fede è una realtà semplice. Secondo, dal lato di chi crede: e allora l'oggetto della fede è qualche cosa di composto, come lo sono gli enunciati. Perciò erano vere entrambe, in qualche modo, le due opinioni formulate dagli antichi.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento è valido per l'oggetto della fede considerato in se stesso, nella realtà.
2. Nel simbolo si ricordano le cose di fede, in quanto ad esse termina l'atto del credente: come appare dal modo stesso di esprimersi. Ora, l'atto del credente non si ferma all'enunciato, ma va alla realtà: infatti formiamo degli enunciati solo per avere la conoscenza delle cose, sia nella scienza, che nella fede.
3. La visione della patria avrà per oggetto la prima verità come è in se stessa; poiché sta scritto: "Quando si manifesterà, saremo simili a lui, e lo vedremo come egli è". Perciò tale visione non avrà la forma di un enunciato, ma sarà un semplice atto di intelligenza. Ora, invece con la fede non conosciamo la prima verità come è in se stessa. Perciò il paragone non regge.

ARTICOLO 3

Se la fede possa poggiare sul falso

SEMBRA che la fede possa poggiare sul falso. Infatti:
1. La fede è sullo stesso piano della speranza e della carità. Ora, la speranza può poggiare sul falso: poiché molti che sperano di avere la vita eterna, non la raggiungono. Lo stesso avviene per la carità: infatti molti vengono amati come buoni, e tuttavia non lo sono. Perciò anche la fede può poggiare sul falso.
2. Abramo credeva che il Cristo sarebbe nato, secondo l'affermazione del Vangelo: "Abramo, vostro padre, esultò per vedere il mio giorno". Ora, Dio dopo i tempi di Abramo poteva non incarnarsi, poiché ha preso la carne solo per volontà propria: e così sarebbe stato falso ciò che Abramo aveva creduto del Cristo. Quindi la fede può poggiare sul falso.
3. La fede degli antichi voleva che il Cristo sarebbe nato, e codesta fede durò in molti fino alla predicazione del Vangelo. Ma dopo la nascita di Cristo, prima che questi iniziasse la sua predicazione, era falso ritenere che sarebbe nato. Dunque la fede può poggiare sul falso.
4. È un dogma di fede credere che il Sacramento dell'Altare contiene il vero corpo di Cristo. Ora, può capitare, quando non viene debitamente consacrato, che là non vi sia il vero corpo di Cristo, ma il pane soltanto. Perciò la fede può poggiare sul falso.

IN CONTRARIO: Nessuna virtù chiamata a nobilitare l'intelletto può avere legami con la falsità, che, a detta del Filosofo, è il male di ordine intellettivo. Ma la fede è una virtù chiamata a perfezionare l'intelletto. Essa, dunque, non può poggiare sul falso.

RISPONDO: Nessuna cosa può interessare una potenza, un abito, o un atto, se non mediante la ragione formale dell'oggetto rispettivo: un colore, p. es., non può essere veduto che mediante la luce, e una conclusione non può essere conosciuta che in forza del termine medio della dimostrazione. Ora, abbiamo già visto che la ragione formale dell'oggetto della fede è la prima verità. Perciò niente può essere materia di fede, se non in quanto dipende dalla prima verità, con la quale qualsiasi falsità è incompatibile; come è incompatibile il non ente con l'ente, e il male col bene. Rimane, quindi, che la fede non può poggiare sul falso.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La verità è un bene dell'intelletto e non delle potenze appetitive; ecco perché tutte le virtù che perfezionano l'intelletto escludono assolutamente il falso: poiché è essenziale alla virtù volgersi unicamente al bene. Invece le virtù della parte appetitiva non sono del tutto incompatibili col falso: ché uno può agire secondo la giustizia o la temperanza, avendo una falsa opinione a proposito di ciò che sta facendo. Ecco perché fede, speranza e carità non sono alla pari, dal momento che la prima nobilita l'intelletto, e le due ultime perfezionano le potenze appetitive.
Tuttavia neppure la speranza poggia sul falso. Infatti uno spera di possedere la vita eterna non con le proprie capacità (il che sarebbe un atto di presunzione), ma con l'aiuto della grazia: e se in essa perseverasse, conseguirebbe infallibilmente la vita eterna. Parimente spetta alla carità amare Dio in tutti coloro in cui si trova. Perciò alla carità poco importa, se Dio di fatto si trovi o no nella persona che viene amata per lui.
2. Anche dopo Abramo era sempre possibile, assolutamente parlando, che Dio non si incarnasse. Ma in quanto la cosa ricadeva nella prescienza di Dio, diventava in qualche modo necessaria, perché infallibilmente sarebbe avvenuta, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Ed è sotto quest'aspetto che è materia di fede. E quindi, quale dogma di fede, la cosa non può esser falsa.
3. La fede dei credenti esigeva, dopo la nascita del Cristo, di ritenere che a un dato momento egli sarebbe nato. Ma la determinazione del tempo, in cui essi s'ingannavano, non era dovuta alla fede, bensì a una supposizione umana. Infatti è sempre possibile che un credente giudichi falsamente una cosa, per una supposizione umana; ma non quando giudica partendo dalla fede.
4. La fede del credente non si riferisce a queste, o a quelle determinate specie del pane: ma al fatto che quando il pane sensibile è consacrato nel debito modo, il vero corpo di Cristo si trova sotto le sue specie. Perciò, se non è debitamente consacrato, non per questo la fede poggia sul falso.

ARTICOLO 4

Se le cose che si vedono possano essere oggetto di fede

SEMBRA che le cose che si vedono possano essere oggetto di fede. Infatti:
1. Il Signore disse a Tommaso: "Hai creduto perché hai visto". Dunque una stessa cosa può essere oggetto di visione e di fede.
2. L'Apostolo afferma: "Adesso noi vediamo attraverso uno specchio, in enigma". E parla della conoscenza della fede. Dunque ciò che uno crede può anche vederlo.
3. La fede è una luce dello spirito. Ora, con qualsiasi luce si vede sempre qualche cosa. Perciò la fede ha per oggetto cose che si vedono.
4. A detta di S. Agostino, col termine vista si può intendere qualsiasi senso. Ora, la fede ha per oggetto cose che si odono, secondo l'espressione di S. Paolo: "La fede viene dall'ascoltare". Perciò la fede ha per oggetto cose che si vedono.

IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna che "la fede è convincimento di cose che non si vedono".

RISPONDO: La fede implica l'assenso dell'intelletto a ciò che si crede. Ora, l'intelletto può assentire a una cosa in due maniere. Primo, perché mosso dall'oggetto, il quale può essere conosciuto, o direttamente per se stesso, come avviene per i primi principi di cui ha un abito naturale; oppure indirettamente, come avviene per le conclusioni di cui si ha la scienza. Secondo, non perché mosso adeguatamente dal proprio oggetto, ma per una scelta volontaria, che inclina più verso una parte che verso l'altra. E se questo si fa col dubbio e col timore che sia vero l'opposto, avremo l'opinione: se invece si fa con la certezza e senza codesto timore, avremo la fede. Ora, possiamo dire che si vedono le cose le quali direttamente muovono i sensi, o il nostro intelletto alla propria conoscenza. Perciò è chiaro che né la fede né l'opinione possono essere di cose evidenti per il senso, o per l'intelletto.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tommaso "altra cosa vide e altro credette. Vide l'uomo, e credendo lo confessò suo Dio, quando disse: "Signore mio e Dio mio"".
2. Le verità di fede si possono considerare da due punti di vista. Primo, in particolare: e così esse non possono essere insieme oggetto di visione e di fede, come abbiamo dimostrato. Secondo, in generale, cioè sotto l'aspetto generico di cose da credere. E in tal senso da chi crede esse sono vedute: infatti costui non le crederebbe, se non vedesse che sono da credersi, o per l'evidenza dei prodigi, o per altre cose del genere.
3. La luce della fede fa vedere quali siano le cose da credersi. Infatti, come gli altri abiti virtuosi fanno sì che un uomo veda ciò che gli conviene secondo codesti abiti, così l'abito della fede inclina l'anima umana ad accettare le cose che collimano con la vera fede, e a respingere le altre.
4. L'udito ha per oggetto le parole che esprimono le verità della fede: non già le cose stesse che formano l'oggetto della fede. E quindi non è detto che codeste cose si debbano vedere.

ARTICOLO 5

Se le cose di fede possano essere oggetto di scienza

SEMBRA che le cose di fede possano essere oggetto di scienza. Infatti:
1. Le cose che non si sanno sono ignorate: poiché l'opposto della scienza è l'ignoranza. Ma le cose di fede non sono ignorate: ché anzi la loro ignoranza è tra i mali dell'incredulità, secondo le parole di S. Paolo: "Ho agito per ignoranza nella mia incredulità". Dunque le cose di fede possono essere conosciute.
2. La scienza si acquista mettendo innanzi delle ragioni. Ora, i teologi a sostegno delle cose di fede mettono innanzi delle ragioni. Quindi le cose di fede possono essere oggetto di scienza.
3. Le verità provate con la dimostrazione sono oggetto di scienza: poiché la dimostrazione è "un sillogismo che fa scienza". Ma certe cose di fede, come, p. es., l'esistenza di Dio, la sua unità e simili, sono provate dai filosofi con la dimostrazione. Perciò le cose di fede possono essere oggetto di scienza.
4. L'opinione è più lontana dalla scienza che la fede: essendo quest'ultima tra l'opinione e la scienza. Eppure, a detta del Filosofo, "l'opinione e la scienza in qualche modo possono avere il medesimo oggetto". Dunque anche la fede e la scienza.

IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna, che "delle cose evidenti non abbiamo la fede ma la scienza". Perciò le cose di fede non sono oggetto di scienza. E le cose di cui si ha la scienza non possono essere oggetto di fede.

RISPONDO: Qualsiasi scienza dipende da alcuni principi per sé noti, e quindi visti o evidenti. Ecco perché tutto ciò che è oggetto di scienza in qualche modo è oggetto di visione. Ora, non è possibile, come abbiamo dimostrato, che la stessa cosa sia per un medesimo soggetto creduta e veduta.
Tuttavia può capitare che quanto è visto e saputo da uno, sia creduto da un altro. Infatti noi crediamo la Trinità che speriamo un giorno di vedere, secondo le parole dell'Apostolo: "Vediamo adesso attraverso uno specchio in enigma, allora vedremo faccia a faccia": e codesta visione è già goduta dagli angeli. Perciò essi vedono quello che noi crediamo. E così può capitare che una cosa veduta o saputa da un uomo, anche nella vita presente, sia invece creduta da un altro, che non l'ha raggiunta con la dimostrazione. Tuttavia quanto comunemente si propone a credere a tutti gli uomini, in genere non è oggetto di scienza. E queste sono le verità che in senso assoluto sono materia di fede. Perciò la fede e la scienza non hanno il medesimo oggetto.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli increduli hanno l'ignoranza delle cose di fede; perché non vedono e non conoscono codeste cose in se stesse, e non sanno che esse sono da credersi. Invece in quest'ultimo senso i fedeli ne hanno la conoscenza, non per una specie di dimostrazione, ma perché, come abbiamo detto, vedono con la luce della fede che sono da credersi.
2. Le ragioni portate dai Santi (Padri) come prove delle cose di fede non hanno valore di dimostrazioni, ma di indizi, i quali mostrano che non è impossibile quanto la fede propone. Oppure partono dai principi di fede, cioè dai testi della Sacra Scrittura, come spiega Dionigi. E con questi principi si può provare una conclusione tra persone credenti, come presso tutti si usa provare partendo dai principi noti per natura. Ecco perché anche la teologia è una scienza, come abbiamo spiegato all'inizio di quest'Opera.
3. Certe cose che possono anche essere dimostrate si enumerano tra le verità da credersi, non perché per tutti esse sono oggetto di fede, ma perché sono prerequisite alle cose di fede, ed è necessario che si tengano almeno per la fede da coloro che non ne hanno la dimostrazione.
4. Come nota il Filosofo stesso, su di un medesimo argomento persone diverse possono avere opinione e scienza, come abbiamo detto per la scienza e la fede. Ma una stessa persona può avere fede e scienza di una medesima cosa, considerata sotto aspetti diversi. Infatti può essere che di una stessa cosa uno conosca con certezza un aspetto, e per sola supposizione un altro aspetto. Parimente, a proposito di Dio uno può avere la dimostrazione della sua unità, e credere alla sua trinità. Ma della stessa cosa sotto il medesimo aspetto non è possibile che un uomo abbia la scienza e nello stesso tempo l'opinione, o la fede, sebbene queste due siano incompossibili con essa per ragioni diverse. Infatti la scienza di una cosa non è compatibile con la fede di essa, perché la scienza esige che quanto si conosce si veda essere impossibile che sia diversamente; invece l'opinione implica l'accettazione di codesta possibilità. Al contrario una cosa che si tiene per fede si deve credere che sia nell'impossibilità di essere diversamente, data la certezza della fede: ma una stessa cosa non può essere sotto lo stesso aspetto oggetto di scienza e di fede, perché ciò che si sa si vede, mentre ciò che si crede non si vede, come abbiamo spiegato.

ARTICOLO 6

Se le verità di fede debbano essere distinte in un certo numero di articoli

SEMBRA che le verità di fede non debbano essere distinte in un certo numero di articoli. Infatti:
1. Siamo tenuti a credere tutte le verità racchiuse nella Sacra Scrittura. Ma queste non si possono ridurre a un numero determinato. Dunque non ha senso distinguere gli articoli di fede.
2. Siccome la distinzione materiale si può fare all'infinito, la scienza deve ignorarla. D'altra parte la ragione formale dell'oggetto della fede, cioè la prima verità, è una e indivisibile, come abbiamo detto: e quindi le verità di fede non si possono distinguere secondo la ragione formale. Dunque la materiale distinzione delle cose di fede in articoli deve essere trascurata.
3. Alcuni affermano che l'articolo è "una indivisibile verità su Dio, che ci coarta a credere". Ma credere è un atto volontario: poiché, a detta di S. Agostino, "nessuno crede se non perché vuole". Perciò non è giusto distinguere in articoli le cose da credere.

IN CONTRARIO: Scrive S. Isidoro: "L'articolo è un modo di percepire la verità divina, che ci orienta verso di essa". Ora, la nostra percezione della verità divina avviene secondo una certa suddivisione: infatti le cose che in Dio sono unite, nel nostro intelletto sono molteplici. Dunque le verità della fede devono essere distinte in articoli.

RISPONDO: Il termine articolo sembra che sia derivato dal greco. Infatti in greco αρθρον reso dal latino articulus, sta a indicare la giuntura di parti distinte. Perciò nel corpo le particelle di giuntura sono chiamate articolazioni delle membra. Così in grammatica presso i greci sono chiamati articoli quelle parti del discorso che sono unite alle altre voci per esprimerne il genere, il numero e il caso. Così pure in retorica si parla di articolazioni a proposito di certe aggregazioni di parti: scrive infatti Cicerone, che "il parlare è articolato, quando le singole parole sono distinte da sospensioni del discorso, in questa maniera, p. es.: Con la prestanza, con la voce, con lo sguardo hai atterrito gli avversari". Perciò si dice che anche le verità della fede cristiana sono distinte in articoli, in quanto sono divise in parti che hanno un legame reciproco.
Ora, l'oggetto della fede, come abbiamo detto, è una verità divina inevidente. Quindi dove abbiamo qualche cosa che per una speciale ragione è inevidente, là troviamo un articolo distinto: invece là dove più cose sono conosciute o sconosciute per una medesima ragione, gli articoli non sono distinti. È differente, p. es., la difficoltà che c'è per capire che un Dio ha sofferto, e per capire che essendo morto è risuscitato: perciò l'articolo della resurrezione è distinto da quello della passione. È invece identica la difficoltà per capire che ha sofferto, che è morto e che è stato sepolto, poiché ammessa la prima cosa, è facile ammettere anche le altre. Ecco perché tutte codeste cose appartengono a un unico articolo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ci sono delle verità che sono per se stesse oggetto di fede; e ce ne sono di quelle che lo sono non per se stesse, ma in ordine ad altre: così anche nelle scienze ci sono delle nozioni proposte come elementi richiesti per se stessi, e altri che servono a chiarire. Ora, avendo la fede come oggetto principale quanto speriamo di vedere nella patria poiché, secondo le parole di S. Paolo, "la fede è realtà di cose sperate", di per sé spettano alla fede le cose che ci indirizzano direttamente alla vita eterna: cioè le tre Persone divine, l'onnipotenza di Dio, il mistero dell'incarnazione di Cristo, e altre cose simili. E gli articoli della fede si dividono in base ad esse. Ma dalla Sacra Scrittura vengono proposte alla nostra fede anche altre cose, non come principali, bensì per chiarire le precedenti; p. es., che Abramo ebbe due figli, che un morto risuscitò al contatto delle ossa di Eliseo, e altre cose del genere che sono raccontate nella Sacra Scrittura per illustrare la grandezza di Dio, o l'incarnazione di Cristo. E in questo caso non è necessario distinguere gli articoli.
2. La ragione formale dell'oggetto della fede si può considerare da due punti di vista. Primo, dal lato della cosa creduta. E allora è unica la ragione formale di tutto ciò che si crede, cioè la prima verità. Secondo, dal lato dei credenti. E allora codesta ragione è la non evidenza. E da questo lato, come abbiamo spiegato, sono distinti gli articoli di fede.
3. Codesta definizione dell'articolo deriva più dall'etimologia latina del termine, che dalla vera etimologia greca. Perciò non ha gran peso. - Si può rispondere però, che sebbene non si sia costretti a credere da una necessità di coazione, siamo costretti tuttavia dalla necessità del fine (da raggiungere); poiché, come scrive l'Apostolo, "a chi si avvicina a Dio è necessario credere", e "senza la fede è impossibile piacere a Dio".

ARTICOLO 7

Se gli articoli di fede siano cresciuti con l'andar del tempo

SEMBRA che gli articoli di fede non siano cresciuti con l'andare del tempo. Infatti:
1. L'Apostolo insegna che "la fede è realtà di cose sperate". Ora, in tutti i tempi le cose da sperare furono sempre le stesse. Dunque furono identiche in tutti i tempi anche le cose da credere.
2. Nelle scienze umane si ha uno sviluppo con l'andare del tempo, per la mancanza di cognizioni nei primi cultori di esse, come fa notare Aristotele. Ora, la dottrina della fede non è stata inventata dagli uomini, ma rivelata da Dio: "infatti è un dono di Dio", come dice S. Paolo. E poiché in Dio non può esserci nessun difetto di scienza, è chiaro che la conoscenza delle cose di fede fu perfetta fin da principio, e non crebbe con l'andar del tempo.
3. Le opere della grazia non procedono meno ordinate di quelle della natura. Ma la natura inizia sempre con le cose perfette, come nota Boezio. Dunque anche l'opera della grazia ha cominciato con le cose perfette, cosicché i primi iniziati alla fede la conobbero perfettamente.
4. Come a noi è giunta la fede attraverso gli Apostoli, così nell'antico Testamento era giunta ai posteri dagli antichi Padri, poiché allora fu scritto: "Domandalo al padre tuo, e te lo racconterà". Ora, gli Apostoli furono pienamente istruiti sui misteri (cristiani): poiché come dice la Glossa su quel detto paolino, "noi stessi che abbiamo le primizie dello Spirito", "come li ebbero prima del tempo, così li ebbero anche più abbondantemente degli altri". Perciò la conoscenza delle cose di fede non crebbe nel corso del tempo.

IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna, che "secondo lo svolgersi del tempo crebbe la scienza dei santi Patriarchi: e quanto più questi furono vicini alla venuta del Salvatore, tanto più perfettamente compresero i misteri della salvezza".

RISPONDO: Gli articoli stanno alla dottrina della fede, come i principi per sé noti stanno alle scienze acquisite dalla ragione umana. Nei quali principi si riscontra un certo ordine, in quanto che alcuni sono impliciti in altri: tutti i principi, p. es., si riducono a quel primo principio, come il Filosofo dimostra: "L'affermazione e la negazione sono incompatibili simultaneamente". Parimente tutti gli articoli sono impliciti in alcune prime verità di fede, tutto cioè si riduce a credere che Dio esiste, e che provvede alla salvezza degli uomini, secondo l'insegnamento di S. Paolo: "Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che è rimuneratore di quelli che lo cercano". Infatti nell'essere divino sono incluse tutte le cose che crediamo esistere eternamente in Dio, e nelle quali consisterà la nostra beatitudine; e nella fede nella provvidenza sono inclusi tutti i mezzi di cui Dio si serve nel tempo per la salvezza degli uomini, e che preparano alla beatitudine. E allo stesso modo anche tra gli articoli subordinati alcuni sono impliciti in altri: la fede, p. es., nella redenzione umana implica e l'incarnazione di Cristo, e la sua passione, e tutte le altre cose connesse.
Perciò si deve concludere che quanto alla sostanza degli articoli di fede non c'è stato nessuno sviluppo nel corso dei tempi: poiché i Padri posteriori credettero tutte le verità che erano contenute, sebbene implicitamente, nella fede dei loro antenati. Invece quanto all'esplicitazione il numero degli articoli ebbe un aumento: poiché i Padri posteriori conobbero esplicitamente cose che i primitivi non avevano conosciuto in maniera esplicita. Infatti così Dio parlò a Mosè: "Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: ma non manifestai loro il mio nome di Adonai". E David affermava: "Ho compreso più dei vecchi". L'Apostolo finalmente scrive: "Nelle altre età non fu conosciuto il mistero di Cristo dai figli degli uomini, così come ora è stato rivelato ai santi suoi Apostoli e profeti".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose da sperare furono sempre le stesse per tutti. Siccome però gli uomini non sono giunti a codeste speranze che mediante il Cristo, più furono lontani da Cristo nel tempo, più furono lontani dal conseguimento di esse. L'Apostolo infatti ha scritto: "Nella fede morirono tutti costoro senza aver conseguito le cose promesse, ma vedendole da lontano". Ora, più una cosa si vede di lontano, e meno si vede distintamente. Ecco perché coloro che furono più prossimi alla venuta di Cristo conobbero l'oggetto della speranza con maggior chiarezza.
2. Lo sviluppo del sapere può dipendere da due motivi. Primo, dal fatto che l'insegnante, uno o molti che siano, progredisce nella scienza con l'andar del tempo. E questo è il motivo dello sviluppo nelle scienze umane. Secondo, per causa del discepolo: poiché un maestro che conosce perfettamente una disciplina non l'insegna subito tutta da principio al discepolo, che non potrebbe capirla, ma un po' per volta, adattandosi alle sue capacità. E per questo motivo gli uomini progredirono nella conoscenza della fede nel corso dei tempi. Infatti l'Apostolo paragona all'infanzia lo stato dell'antico Testamento.
3. Per la generazione naturale delle cose si richiedono due cause, la causa agente e la materia. Ora, secondo l'ordine della causa agente per natura viene prima ciò che è più perfetto, ed ecco che la natura prende inizio dagli esseri più perfetti: poiché gli esseri imperfetti non raggiungono la perfezione che in forza di quelli perfetti preesistenti. Invece secondo l'ordine della causa materiale sono prima le cose più imperfette e qui la natura procede dalle cose imperfette a quelle perfette. Ebbene, nella rivelazione della fede la causa agente è Dio, che dall'eternità ha una scienza perfetta: l'uomo invece è come la materia che riceve l'influsso di Dio. Ecco perché presso gli uomini era necessario che la conoscenza della fede procedesse da uno stato imperfetto a quello perfetto. E sebbene tra gli uomini alcuni si siano trovati nella condizione di cause agenti, perché maestri della fede; tuttavia "la manifestazione dello Spirito fu loro concessa per una utilità comune", come dice S. Paolo. Ecco perché agli antichi Padri maggiormente iniziati fu concessa tanta conoscenza della fede, quanto al loro tempo era necessario esporne al popolo, sia in modo esplicito, che in modo figurale.
4. L'ultima perfezione dell'opera della grazia fu data dal Cristo: difatti il suo tempo è chiamato da S. Paolo "la pienezza dei tempi". Perciò quelli che furono più vicini a Cristo, cioè S. Giovanni Battista prima, e gli Apostoli dopo, conobbero maggiormente i misteri della fede. Del resto questo si riscontra anche nella vita umana: poiché la perfezione è nella giovinezza, e un uomo ha uno stato tanto più perfetto, sia prima che dopo, quanto più si avvicina alla giovinezza.

ARTICOLO 8

Se gli articoli di fede siano ben enumerati

SEMBRA che gli articoli di fede non siano ben enumerati. Infatti:
1. Le cose che si possono conoscere per dimostrazione scientifica non appartengono alla fede in modo da essere per tutti verità credute, come sopra abbiamo detto. Ora, che esiste un unico Dio si può scientificamente dimostrare: difatti così ha saputo fare Aristotele nella Metafisica, e molti altri filosofi hanno portato delle dimostrazioni per provarlo. Dunque non si deve considerare un articolo di fede l'esistenza di un unico Dio.
2. La fede come ci obbliga a credere che Dio è onnipotente, così ci impone di credere che è onnisciente e che provvede a tutti gli esseri; e ci furono errori contro l'una e contro l'altra verità. Perciò tra gli articoli di fede si doveva ricordare la sapienza e la provvidenza divina, come si è fatto per l'onnipotenza.
3. Identica cosa è conoscere il Padre e il Figlio, come afferma il Signore nel Vangelo: "Chi vede me, vede anche il Padre". Dunque un unico articolo doveva abbracciare il Padre e il Figlio; e, per la stessa ragione, anche lo Spirito Santo.
4. Il Padre non è da meno del Figlio e dello Spirito Santo. Ma per lo Spirito Santo sono enumerati diversi articoli, e così pure per il Figlio. Dunque dovevano esserci più articoli anche per la persona del Padre.
5. Come viene appropriato qualcosa al Padre e allo Spirito Santo, così bisogna appropriare qualcosa alla persona del Figlio relativo alla sua divinità. Ora, negli articoli (del simbolo) troviamo ricordata l'opera della creazione appropriata al Padre, e l'opera della rivelazione "fatta ai profeti", appropriata allo Spirito Santo. Dunque negli articoli di fede si doveva appropriare un'opera anche al Figlio secondo la sua divinità.
6. Il sacramento dell'Eucarestia presenta una difficoltà particolare superiore a quella di molti altri articoli. Perciò esso meritava un articolo a parte. E quindi non sembra che gli articoli siano adeguatamente enumerati.

IN CONTRARIO: Sta l'autorità della Chiesa che li enumera così.

RISPONDO: Abbiamo già detto che alla fede appartengono essenzialmente soltanto le cose di cui godremo la visione nella vita eterna, e che ad essa ci conducono. Ora, due sono le cose che là ci saranno presentate: il mistero della divinità, la cui visione ci rende beati; e il mistero dell'umanità del Cristo, mediante il quale "abbiamo adito alla gloria dei figli di Dio". Perciò sta scritto: "La vita eterna è questa, che conoscano te, vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo". Quindi la prima divisione delle verità di fede è questa, che parte di esse riguardano la grandezza di Dio, e parte riguardano il mistero dell'umanità di Cristo, che a dire di S. Paolo è "il mistero della pietà".
E a proposito della grandezza di Dio vengono proposte alla nostra fede tre cose. Primo, l'unità di Dio, di cui si occupa il primo articolo. Secondo, la trinità delle Persone: ed abbiamo così tre articoli, uno per ogni persona. Terzo, sono presentate le opere proprie della divinità. La prima di esse riguarda l'esistenza della natura: ecco perché viene proposto l'articolo della creazione. La seconda riguarda l'esistenza della grazia: ed ecco che ci vengono proposte sotto un unico articolo tutte le opere riguardanti la santificazione umana. La terza riguarda l'esistenza della gloria: ed ecco un altro articolo che riguarda la resurrezione e la vita eterna. Abbiamo così sette articoli riguardanti la divinità.
Anche a proposito dell'umanità di Cristo sono proposti sette articoli. Il primo riguarda l'incarnazione, ovvero la concezione del Cristo; il secondo la sua nascita dalla Vergine; il terzo la passione, la morte e la sepoltura di lui; il quarto la discesa agli inferi; il quinto la resurrezione; il sesto l'ascensione; il settimo il suo ritorno per il giudizio (finale). E quindi in tutto sono quattordici.
Alcuni però distinguono dodici articoli di fede: sei per la divinità, e sei per l'umanità (del Redentore). Essi riducono a uno solo i tre articoli riguardanti le Persone: poiché la conoscenza delle tre Persone è identica. Invece distinguono in due articoli l'opera della glorificazione: resurrezione della carne, e gloria dell'anima. Al contrario riducono a uno solo gli articoli dell'incarnazione e della nascita.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Con la fede noi apprendiamo su Dio molte cose, che i filosofi non furono in grado di investigare con la ragione naturale: p. es., che egli è provvidente ed onnipotente, e che lui solo deve essere adorato. Tutte cose che sono racchiuse nell'articolo riguardante l'unità di Dio.
2. Il nome stesso di Dio implica l'idea di provvidenza, come abbiamo visto nella Prima Parte. Inoltre la potenza negli esseri dotati di intelletto non opera che seguendo la volontà e la cognizione. Perciò l'onnipotenza di Dio include in qualche modo la scienza e la provvidenza di tutte le cose: egli infatti non potrebbe compiere nel mondo tutto ciò che vuole, se non conoscesse le cose e non ne avesse provvidenza.
3. Unica è la conoscenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo quanto all'unità dell'essenza, che rientra nel primo articolo. Invece quanto alla distinzione delle Persone, che dipende dalle relazioni di origine, troviamo che nella conoscenza del Padre è inclusa in qualche modo la conoscenza del Figlio; poiché Dio non sarebbe Padre, se non avesse un Figlio: e il loro nesso è lo Spirito Santo. E da questo lato hanno un giusto motivo quelli che enumerano un unico articolo per le tre Persone divine. Siccome però sulle singole Persone ci sono da tenere presenti alcune cose su cui è possibile ingannarsi, si possono hen distinguere tre articoli a proposito di esse. Ario infatti credeva che il Padre fosse onnipotente ed eterno, ma non credeva che il Figlio fosse coequale e consustanziale al Padre: ecco perché era necessario un articolo sulla persona del Figlio, per determinarlo. E per la stessa ragione fu necessario stabilire un terzo articolo contro Macedonio sulla persona dello Spirito Santo.
Parimente, l'incarnazione e la nascita di Cristo, e così pure la resurrezione e la vita eterna, sotto un certo aspetto si possono racchiudere in un solo articolo, perché son cose ordinate a uno scopo unico: e sotto un altro aspetto si possono distinguere, perché ciascuna ha particolari difficoltà.
4. Al Figlio e allo Spirito Santo spetta di essere inviati per santificare le creature: ed è questa un'opera su cui troviamo molte cose da credere. Ecco perché sono più gli articoli riguardanti le persone del Figlio e dello Spirito Santo, che quelle riguardanti il Padre, il quale non viene mai inviato, come abbiamo detto nella Prima Parte.
5. La santificazione delle creature con la grazia, e la loro sublimazione con la gloria avviene, sia mediante il dono della carità, che è appropriato allo Spirito Santo, sia mediante il dono della sapienza che è appropriato al Figlio. Perciò codeste due opere appartengono per appropriazione e al Figlio e allo Spirito Santo, sotto aspetti diversi.
6. Nel sacramento dell'Eucarestia si possono considerare due cose. Primo, che è un sacramento: e questo è un aspetto comune a tutti gli altri effetti della grazia santificante. Secondo, che vi si contiene miracolosamente il corpo di Cristo: e sotto questo aspetto è incluso nell'onnipotenza, come tutti gli altri miracoli, che ad essa appunto sono attribuiti.

ARTICOLO 9

Se ci siano inconvenienti nella sistemazione degli articoli di fede nei simboli

SEMBRA che nella sistemazione degli articoli di fede nei simboli ci siano degli inconvenienti. Infatti:
1. La Sacra Scrittura è una regola di fede, a cui non è lecito né aggiungere né togliere nulla; poiché sta scritto: "Non aggiungete e non togliete nulla a quanto io vi dico". Perciò è illecita la compilazione di simboli come regole di fede, dopo la pubblicazione della Sacra Scrittura.
2. Come dice l'Apostolo, "una è la fede". Ora, un simbolo è una professione di fede. Dunque non si giustifica la pluralità dei simboli.
3. La professione di fede contenuta nel simbolo conviene a tutti i fedeli. Ora, non tutti i fedeli possono dire di credere "in Dio", ma soltanto quelli che hanno la fede formata (dalla carità). Quindi non è giusta quella formula del simbolo "Io credo in un unico Dio".
4. La discesa agli inferi è uno degli articoli di fede, come abbiamo visto. Ma nel simbolo dei Padri (niceno-costantinopolitani) non se ne parla. Dunque codesto simbolo è insufficiente.
5. S. Agostino, commentando quel passo evangelico: "Credete in Dio e credete anche in me", spiega che noi pure credendo "a Pietro" o "a Paolo", diciamo di non credere che "in Dio". Ora, siccome la Chiesa Cattolica è qualche cosa di creato, non sembra giusto che si dica: "credo nella Chiesa unica, santa, cattolica e apostolica".
6. Il simbolo vien dato come regola di fede. Ma una regola di fede deve essere proposta a tutti pubblicamente. Perciò tutti i simboli dovrebbero essere cantati nella messa, come il simbolo dei Padri (niceni). Dunque non è giusta la pubblicazione degli articoli di fede fatta nei simboli.

IN CONTRARIO: La Chiesa universale non può sbagliare, essendo guidata dallo Spirito Santo, che è Spirito di verità. Così infatti suona la promessa del Signore: "Quando sarà venuto lo Spirito di verità, egli vi insegnerà ogni verità". Ora, i simboli sono pubblicati dall'autorità della Chiesa universale. Dunque in essi non ci sono incongruenze.

RISPONDO: Come insegna l'Apostolo, "chi s'accosta a Dio deve credere". Ma uno non può credere, se non gli viene proposta la verità da credere. Ecco perché fu necessario raccogliere in un compendio le verità di fede, per proporle più facilmente a tutti, e perché nessuno si allontanasse dalla verità della fede per ignoranza. E codesto compendio di sentenze ha dato origine al termine simbolo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le verità della fede son contenute nella Sacra Scrittura in maniera prolissa, varia e in certi casi oscura; cosicché per estrarre le verità di fede dalla Scrittura si richiedono lunghi studi ed esercizio, che non sono alla portata di tutti coloro che hanno il dovere di conoscere codeste verità; poiché molti di essi, occupati in altre faccende, non possono attendere allo studio. Di qui la necessità di raccogliere dai testi della Sacra Scrittura un chiaro compendio, da proporre alla fede di tutti. Questo però non è una aggiunta che si fa alla Sacra Scrittura ma ne è piuttosto un estratto.
2. In tutti i simboli viene insegnata la medesima verità di fede. Ma è necessario istruire il popolo più accuratamente su codesta verità, quando insorgono degli errori, perché la fede dei semplici non venga pervertita dagli eretici. Questa fu la causa che costrinse a redigere diversi simboli. Essi però differiscono tra loro solo per il fatto che le cose implicite nell'uno sono spiegate nell'altro con maggior chiarezza, come esigevano gli attacchi degli eretici.
3. La professione di fede è presentata nel simbolo a nome di tutta la Chiesa, che deve alla fede la sua unità. Ma la fede della Chiesa è una fede formata (dalla carità): perché tale è la fede di coloro che appartengono alla Chiesa per numero e per merito. Ecco perché nel simbolo si presenta una professione di fede adatta per la fede "formata": e anche perché i fedeli che non avessero la fede "formata", cerchino di raggiungerla.
4. Presso gli eretici non era sorto nessun errore a proposito della discesa agli inferi; ecco perché non fu necessario aggiungere una spiegazione in proposito. E per questo non venne ricordata nel simbolo dei Padri (niceni); ma si suppone la sua determinazione nel simbolo degli Apostoli. Infatti un simbolo successivo non abolisce il precedente, bensì lo spiega, come abbiamo detto.
5. Se si dice "nella santa Chiesa cattolica", si deve intendere che la nostra fede si riferisce allo Spirito Santo, il quale santifica la Chiesa; e cioè in questo senso: "Credo nello Spirito Santo che santifica la Chiesa". Però secondo l'uso più comune è meglio non mettere la preposizione in, e dire semplicemente: "la santa Chiesa cattolica", come fa anche S. Leone Papa.
6. Il simbolo niceno è una spiegazione di quello apostolico, e quindi fu compilato quando la fede era già divulgata e la Chiesa era in pace; ecco perché esso viene cantato pubblicamente nella messa. Invece il simbolo apostolico, compilato in tempo di persecuzione, quando la fede non era ancora divulgata, viene recitato in silenzio a Prima e a Compieta, quasi contro le tenebre degli errori passati e futuri.

ARTICOLO 10

Se spetti al Sommo Pontefice costituire il simbolo della fede

SEMBRA che non spetti al Sommo Pontefice costituire il simbolo della fede. Infatti:
1. Una nuova edizione del simbolo è necessaria, come abbiamo detto, per spiegare gli articoli della fede. Ora, la spiegazione degli articoli di fede nel corso del tempo avveniva nel vecchio Testamento, perché le verità di fede, stando alle spiegazioni precedenti, venivano manifestate maggiormente all'approssimarsi della venuta di Cristo. Ma essendo cessato con la nuova Legge codesto motivo, non c'è ragione di spiegare sempre di più gli articoli di fede. Perciò non spetta all'autorità del Sommo Pontefice ordinare un nuovo simbolo.
2. Ciò che la Chiesa universale proibisce sotto pena di scomunica, non rientra nelle facoltà di nessun uomo. Ora, nuove redazioni del simbolo sono proibite sotto pena di scomunica dalla Chiesa universale. Infatti si legge negli atti del concilio di Efeso, che "dopo la lettura del simbolo niceno, il sacro concilio decretò che a nessuno fosse lecito proferire, scrivere, o comporre un altro simbolo di fede, fuori di quello definito, con lo Spirito Santo, dai santi padri radunati a Nicea", e si aggiunge la pena della scomunica. La stessa cosa viene ripetuta negli atti del concilio di Calcedonia. Dunque sembra che non spetti all'autorità del Sommo Pontefice fare una nuova redazione del simbolo.
3. S. Atanasio non era Sommo Pontefice, ma Patriarca di Alessandria. E tuttavia compose un simbolo che viene cantato nella Chiesa. Perciò la compilazione dei simboli non appartiene al Sommo Pontefice, più di quanto non appartenga ad altri.

IN CONTRARIO: La compilazione del simbolo fu fatta in un concilio ecumenico. Ma un tale concilio può essere adunato soltanto dall'autorità del Sommo Pontefice, come dice il Decreto (di Graziano). Dunque la compilazione del simbolo spetta all'autorità del Sommo Pontefice.

RISPONDO: Abbiamo già notato che una nuova redazione del simbolo è necessaria per combattere gli errori che insorgono. Perciò la promulgazione di un simbolo spetta all'autorità di colui che ha il potere di definire le cose di fede, in modo che esse siano tenute da tutti senza discussione. Ora, ciò spetta all'autorità del Sommo Pontefice, "al quale vanno devolute le questioni più gravi e più difficili della Chiesa", come dice il Decreto (di Graziano). Ecco perché il Signore disse a Pietro, che aveva costituito Sommo Pontefice: "Io ho pregato per te, o Pietro, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli". E la ragione di ciò sta nel fatto che la Chiesa deve avere un'unica fede, secondo l'ammonimento di S. Paolo: "Dite tutti la stessa cosa, e non ci siano tra voi degli scismi". Ma questo non si può osservare se, quando sorge una questione di fede, non viene determinata da chi presiede su tutta la Chiesa, in modo che la sua decisione sia accettata dalla Chiesa intera con fermo consenso. Perciò spetta alla sola autorità del Sommo Pontefice la promulgazione di un nuovo simbolo: come del resto ogni altra funzione che interessa tutta la Chiesa: adunare, p. es., il concilio generale e altre cose del genere.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'insegnamento di Cristo e degli Apostoli le verità di fede sono spiegate a sufficienza. Siccome però gli uomini perversi "pervertono per loro perdizione", secondo l'espressione di S. Pietro, l'insegnamento apostolico come le altre Scritture, è necessario che nel corso del tempo ci sia un'esposizione della fede contro gli errori che insorgono.
2. Le proibizioni e le decisioni di un concilio riguardano le persone private, che non hanno il compito di determinare le cose di fede. Infatti tali decisioni di un concilio ecumenico non tolgono il potere al concilio ecumenico successivo di fare una nuova redazione del simbolo, la quale non conterrà mai una fede diversa, ma la stessa in termini più chiari. Infatti in tutti i concili si osservò questa prassi; che il concilio successivo chiariva quanto aveva determinato il concilio precedente, sotto la spinta di una nuova eresia. Perciò si tratta di un compito del Sommo Pontefice, alla cui autorità spetta adunare i concili, e confermarne le decisioni.
3. S. Atanasio compose un'esposizione della fede non come simbolo, ma piuttosto come trattato: il che è evidente anche dalle espressioni di cui si serve. Ma poiché la sua esposizione conteneva in breve tutte le verità della fede, fu accettata dall'autorità del Sommo Pontefice, perché fosse considerata come regola di fede.