Il Santo Rosario

La Grazia

Somma Teologica I-II, q. 114

Il merito

Ed eccoci a trattare del merito, che è un effetto della grazia cooperante.
Sull'argomento si pongono dieci quesiti: 1. Se l'uomo possa meritare qualche cosa da Dio; 2. Se uno possa meritare la vita eterna senza la grazia; 3. Se con la grazia uno possa meritare la vita eterna a rigore di giustizia; 4. Se la grazia sia principio del merito principalmente mediante la carità; 5. Se un uomo possa meritare a se medesimo la prima grazia; 6. Se possa meritarla per un altro; 7. Se uno possa meritare di risorgere dopo il peccato; 8. Se possa meritare l'aumento della grazia e della carità; 9. Se uno possa meritare a se stesso la perseveranza finale; 10. Se i beni temporali possano essere oggetto di merito.

ARTICOLO 1

Se un uomo possa meritare qualche cosa da Dio

SEMBRA che un uomo non possa meritare nulla da Dio. Infatti:
1. Nessuno può meritare la mercede per il fatto che rende a un altro quello che gli deve. Ora, anche il Filosofo afferma, che "con tutto il bene che facciamo non possiamo mai ripagare a sufficienza ciò che dobbiamo a Dio, così da sdebitarci". E nel Vangelo si legge: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è comandato, dite: Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare". Dunque l'uomo non può meritare nulla presso Dio.

2. Per il fatto che uno procura un vantaggio a se stesso, non sembra che possa meritare presso un altro che non ci guadagna nulla. Ora, l'uomo nel fare il bene procura un vantaggio a se stesso, o a un altro uomo, ma non a Dio; poiché sta scritto: "Se agisci rettamente, che cosa gli doni, ovvero che cosa riceve egli dalle tue mani?". Dunque l'uomo non può meritare nulla presso Dio.

3. Chi acquista merito presso qualcuno, se lo rende debitore: è dovere infatti rendere la mercede a chi la merita. Ma Dio non è debitore di nessuno; poiché sta scritto: "Chi diede a lui per primo, da averne il contraccambio?". Perciò nessuno può meritare nulla presso Dio.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "C'è un compenso alle tue opere". Ma il compenso, o mercede, è ciò che si rende per un merito. Dunque l'uomo può meritare presso Dio.

RISPONDO: Merito e mercede si riferiscono a un identico oggetto: poiché chiamiamo mercede il compenso che si dà per una prestazione, o per un lavoro, quasi come prezzo di esso. Perciò, come pagare il giusto prezzo per un acquisto è atto di giustizia; così è un atto di giustizia pagare la mercede per una prestazione, o per un lavoro. Ora, la giustizia consiste in una uguaglianza, o adeguazione, come il Filosofo dimostra. E quindi giustizia rigorosa esiste tra persone tra le quali c'è rigorosa uguaglianza: tra quelle invece che non hanno una vera uguaglianza non c'è stretta giustizia, ma ci può essere un aspetto di giustizia; e così si parla di diritto (ius) paterno, o di diritto padronale, come scrive il Filosofo. Perciò tra persone in cui si riscontra una rigorosa giustizia, esiste pure un merito e una mercede rigorosa. Invece tra persone che ammettono una giustizia solo in senso relativo, e non in senso assoluto, non si riscontra neppure un merito in senso assoluto, ma solo relativo, cioè in quanto si salvano certi aspetti della giustizia: è così che un figlio può meritare qualche cosa dal padre e uno schiavo dal suo padrone.
Ora, è evidente che tra Dio e l'uomo c'è la massima disuguaglianza: infatti essi sono infinitamente distanti, e qualsiasi bene dell'uomo viene da Dio. Perciò tra l'uomo e Dio non può esserci giustizia secondo una rigorosa uguaglianza, ma soltanto secondo una certa proporzionalità: cioè in quanto l'uno e l'altro si adeguano nell'agire al modo loro proprio. Il modo, però, o misura dell'umana virtù è determinato all'uomo da Dio. Quindi l'uomo può aver merito presso Dio, solo presupponendo l'ordinazione divina: in modo, cioè, che egli viene a ricevere da Dio una mercede di quel suo operare, per il quale Dio gli aveva concesso la virtù occorrente. Del resto anche gli esseri corporei raggiungono con i loro movimenti ed operazioni gli scopi ai quali Dio li ha preordinati. Tuttavia c'è questa differenza: che la creatura ragionevole muove se stessa ad agire mediante il libero arbitrio, e quindi il suo agire è meritorio: mentre ciò non avviene nelle altre creature.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uomo, merita proprio in quanto compie volontariamente ciò che deve. Altrimenti non sarebbe meritorio l'atto di giustizia col quale uno soddisfa al suo debito.
2. Dal nostro bene Dio non cerca un vantaggio, ma la gloria, cioè la manifestazione della sua bontà: ed è questo che egli stesso cerca nelle sue opere. E per il fatto che l'onoriamo viene un vantaggio non a lui, ma a noi. Perciò meritiamo qualche cosa da Dio, non perché gli procuriamo un vantaggio, ma in quanto si agisce per la sua gloria.
3. La nostra azione, avendo l'aspetto di un merito solo perché presuppone l'ordinazione divina, non ne segue che Dio debba divenire nostro debitore in senso assoluto, ma lo diviene di se stesso: in quanto è dovere che si esegua la sua ordinazione.

ARTICOLO 2

Se uno senza la grazia possa meritare la vita eterna

SEMBRA che senza la grazia uno possa meritare la vita eterna. Infatti:
1. L'uomo può meritare da Dio ciò a cui Dio lo ha preordinato, come sopra abbiamo detto. Ma l'uomo per la sua natura è ordinato alla beatitudine: e in effetti desidera per natura di essere felice. Dunque l'uomo con i suoi doni naturali, senza la grazia, può meritare la beatitudine, cioè la vita eterna.
2. Un'identica opera quanto meno è dovuta, tanto più è meritoria. Ora, il bene che compie chi ha ricevuto minori benefici è certo meno dovuto. Perciò chi ha soltanto i beni naturali, ha ricevuto da Dio minori benefici di chi gode anche di quelli gratuiti; quindi le sue opere sono più meritorie presso Dio. Dunque se chi ha la grazia può meritare in qualche modo la vita eterna, molto più potrà meritarla chi non la possiede.
3. La misericordia e la liberalità di Dio superano all'infinito la misericordia e la liberalità umana. Ma un uomo può benissimo meritare presso un altro, anche se prima non ne ha mai goduto la grazia. Perciò a maggior ragione uno può meritare da Dio la vita eterna senza la grazia.

IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna: "Grazia di Dio è la vita eterna".

RISPONDO: Due sono gli stati in cui può trovarsi l'uomo privo di grazia, come sopra abbiamo visto: stato di natura integra, in cui poteva trovarsi Adamo prima del peccato; e stato di natura corrotta, nel quale ci troviamo noi prima dell'intervento della grazia. Se parliamo dell'uomo nel primo stato, allora egli non può meritare la vita eterna con le sole risorse naturali, per una sola ragione. Cioè perché il merito dell'uomo dipende da una preordinazione di Dio. E l'atto di ogni essere non è mai ordinato da Dio a qualche cosa che sorpassa i limiti delle facoltà che sono principio di codesto atto: infatti la divina provvidenza ha stabilito che niente agisca al di sopra delle proprie capacità. Ora, la vita eterna è un bene che sorpassa i limiti della natura creata; poiché ne sorpassa persino la conoscenza e il desiderio, secondo le parole della Scrittura: "Occhio non vide né orecchio udì, né ascese al cuor dell'uomo...". Ecco perché nessuna natura creata è principio adeguato di un atto meritorio della vita eterna, se non vi si aggiunge quel dono soprannaturale che è la grazia.
Se poi parliamo dell'uomo decaduto, a questa ragione se ne aggiunge una seconda: per l'ostacolo del peccato. Infatti, essendo il peccato un'offesa di Dio che esclude dalla vita eterna, come abbiamo visto in precedenza, nessuno può meritare la vita eterna in stato di peccato, se prima non si riconcilia con Dio con la remissione dei peccati, che si ottiene con la grazia. E in realtà al peccatore non si deve la vita, ma la morte, secondo le parole di S. Paolo: "Paga del peccato è la morte".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio ha ordinato la natura umana a raggiungere il fine della vita eterna non con la propria virtù, ma con l'aiuto della grazia. Ed è in tal modo che il suo atto può meritare la vita eterna.
2. Senza la grazia l'uomo non può compiere un'opera pari a quella che procede dalla grazia: poiché l'azione è tanto più perfetta, quanto più alto è il principio operativo. Il ragionamento sarebbe giusto, se in tutti e due i casi l'opera compiuta fosse identica.
3. Se consideriamo la difficoltà alla luce della prima ragione da noi invocata (nella conclusione), tra l'uomo e Dio non è possibile nessun confronto. Poiché l'uomo riceve da Dio tutta la sua virtù a ben operare, mentre non la riceve da un altro uomo. Perciò l'uomo non può meritare nulla presso Dio, se non per un dono di lui, secondo la chiara espressione dell'Apostolo: "Chi ha dato a lui per primo, da averne il contraccambio?". Invece si può meritare presso un uomo prima di aver ricevuto qualche cosa da lui, servendosi dei doni ricevuti da Dio.
Se poi consideriamo la difficoltà alla luce della seconda ragione, desunta dall'ostacolo del peccato, c'è una vera somiglianza tra i rapporti che noi abbiamo con l'uomo e quelli che abbiamo con Dio: poiché uno non può meritare presso un altro uomo che egli ha offeso in precedenza, se prima non ripara e non si riconcilia con lui.

ARTICOLO 3

Se chi è in grazia possa meritare la vita eterna a rigore di giustizia

SEMBRA che un uomo in grazia non possa meritare la vita eterna a rigore di giustizia. Infatti:
1. L'Apostolo scrive: "Le sofferenze del tempo presente non han nulla a che fare con la gloria che dev'essere manifestata in noi". Eppure fra tutte le opere meritorie le più efficaci sono le sofferenze dei santi. Dunque nessun'opera umana merita a rigore di giustizia la vita eterna.
2. Spiegando l'espressione paolina, "Grazia di Dio è la vita eterna", la Glossa commenta: "Avrebbe potuto anche dire, "Compenso di giustizia è la vita eterna", ma ha preferito dire "Grazia di Dio è la vita eterna", per farci comprendere che Dio ci conduce alla vita eterna, non per i nostri meriti, ma per sua misericordia". Ma quello che uno merita a rigore di giustizia non lo riceve per misericordia, bensì per diritto. Perciò non sembra che uno con la grazia possa meritare la vita eterna a rigore di giustizia.
3. È rigoroso quel merito che è uguale alla mercede. Ora, nessun atto della vita presente può uguagliare la vita eterna, la quale sorpassa ogni nostra conoscenza e desiderio. Inoltre sorpassa anche la carità dei viatori, come sorpassa la natura. Quindi l'uomo mediante la grazia non può meritare la vita eterna a rigore di giustizia.

IN CONTRARIO: Il compenso che viene dato secondo un giusto giudizio è a rigore di giustizia. Ma la vita eterna è data da Dio secondo un giudizio di giustizia; poiché S. Paolo ha scritto: "Per il resto è pronta per me la corona di giustizia, che darà a me in quel giorno il Signore, giusto giudice". Dunque l'uomo merita la vita eterna a rigore di giustizia.

RISPONDO: L'atto meritorio di un uomo si può considerare da due punti di vista: primo, in quanto emana dal libero arbitrio; secondo, in quanto procede dalla grazia dello Spirito Santo. Se si considera secondo la portata dell'atto, e in quanto deriva dal libero arbitrio, non si può riscontrare una stretta esigenza di giustizia, data l'assoluta sproporzione. Ma c'è soltanto una convenienza, per una certa uguaglianza di proporzionalità: infatti sembra conveniente che Dio ricompensi secondo l'eccellenza della sua virtù, l'uomo che opera nella misura delle sue forze.
Se invece parliamo di un'opera meritoria in quanto procede dalla grazia dello Spirito Santo, allora essa merita la vita eterna a rigore di giustizia. Ché allora il valore del merito va considerato secondo la virtù dello Spirito Santo che ci conduce alla vita eterna, secondo le parole evangeliche: "Diverrà in lui una sorgente d'acqua zampillante nella vita eterna". Inoltre il valore dell'atto va considerato secondo la nobiltà della grazia, dalla quale l'uomo, fatto partecipe della natura divina, è reso figlio adottivo di Dio: e a lui in forza dell'adozione è dovuta l'eredità, secondo l'espressione paolina: "Se figli, anche eredi".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'Apostolo in quel testo parla delle sofferenze dei santi secondo la natura di esse.
2. Le parole della Glossa vogliono sottolineare che la prima causa per raggiungere la vita eterna è la misericordia di Dio. Mentre il nostro merito è una causa subordinata.
3. La grazia dello Spirito Santo che abbiamo nella vita presente, sebbene non arrivi ad uguagliare di fatto la gloria eterna, tuttavia l'uguaglia virtualmente: come il seme di un albero, il quale virtualmente contiene tutto l'albero. Parimente in forza della grazia prende dimora nell'uomo lo Spirito Santo, che è causa adeguata della vita eterna: cosicché S. Paolo lo chiama "caparra della nostra eredità".

ARTICOLO 4

Se la grazia sia principio del merito più con la carità che con le altre virtù

SEMBRA che la grazia non sia principio del merito principalmente con la carità, piuttosto che con le altre virtù. Infatti:
1. La mercede è dovuta alle opere, secondo l'espressione evangelica: "Chiama gli operai, e paga loro la mercede". Ma qualsiasi virtù è principio d'operazione, essendo essa, come abbiamo spiegato in precedenza, un abito operativo. Perciò tutte le virtù sono ugualmente meritorie.
2. L'Apostolo afferma: "Ciascuno riceverà la propria mercede secondo la fatica propria". Ora, la carità non aumenta, ma piuttosto diminuisce la fatica: perché, come scrive S. Agostino, "tutte le cose dure e terribili l'amore le rende facili e quasi insignificanti". Dunque la carità non è più delle altre virtù principio del merito.
3. La virtù che più di ogni altra è principio del merito dev'essere quella i cui atti sono i più meritori. Ma gli atti più meritori sono gli atti di fede e di pazienza, ovvero di fortezza: il che è evidente nei martiri, i quali per la fede hanno combattuto con pazienza e con fortezza fino alla morte. Quindi ci sono altre virtù più meritorie della carità.

IN CONTRARIO: Il Signore afferma "Chi mi ama sarà amato dal Padre mio; ed io l'amerò e mi manifesterò a lui". Ora, nella manifesta conoscenza di Dio consiste la vita eterna, secondo le parole evangeliche: "La vita eterna è questa, che conoscano te solo Dio vivo e vero". Dunque il merito della vita eterna risiede soprattutto nella carità.

RISPONDO: Da quanto abbiamo detto si può rilevare che l'atto umano desume da due fonti il suo aspetto meritorio: in modo primario e principale dalla preordinazione divina, poiché l'atto si dice meritorio di quel bene al quale l'uomo è ordinato da Dio; secondariamente dal libero arbitrio, in quanto l'uomo, a differenza delle altre creature, ha la padronanza dei propri atti, agendo volontariamente. E in rapporto a queste due cose, il merito principalmente risiede nella carità.
Si deve innanzi tutto considerare che la vita eterna consiste nella fruizione di Dio. Ora, il moto dell'anima umana verso la fruizione del bene divino è l'atto proprio della carità, col quale tutti gli atti delle altre virtù sono ordinati a questo fine, e in forza del cui esercizio tutte le altre virtù sono imperate dalla carità. Perciò il merito della vita eterna appartiene prima di tutto alla carità; e secondariamente alle altre virtù, in quanto i loro atti sono comandati da essa.
Così pure è evidente che quanto facciamo per amore, lo facciamo con la massima volontarietà. Perciò, richiedendosi nel merito la volontarietà, è soprattutto alla carità che va attribuito il merito.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La carità, avendo per oggetto l'ultimo fine, muove le altre virtù ad agire. Infatti un abito che ha per oggetto il fine, comanda sempre quelli che hanno per oggetto i mezzi, come sopra abbiamo visto.
2. Un atto può essere faticoso e difficile per due motivi. Primo, per la grandezza dell'opera da compiere. E allora il peso della fatica ne aumenta il merito. E in tal senso la carità non diminuisce la fatica: anzi essa spinge ad affrontare le più grandi imprese; infatti, come dice S. Gregorio in un'omelia, "essa compie grandi cose, se occorre". - Secondo, per la poca virtù di chi la compie: poiché ciascuno trova faticoso e difficile ciò che non compie con prontezza di volontà. E tale fatica diminuisce il merito: ed è eliminata dalla carità.
3. L'atto della fede non è meritorio, se la fede non "opera nella carità", come dice S. Paolo. - Così non sono meritori gli atti della pazienza e della fortezza, se non vengono compiuti sotto la mozione della carità; poiché sta scritto: "Se dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi la carità, non ne avrei alcun giovamento".

ARTICOLO 5

Se uno possa meritare a se stesso la prima grazia

SEMBRA che uno possa meritare a se stesso la prima grazia. Infatti:
1. Come insegna S. Agostino, "la fede merita la giustificazione". Ora, un uomo viene giustificato dalla prima grazia. Dunque un uomo può meritare a se stesso la prima grazia.
2. Dio dà la grazia solo a chi ne è degno. Ma uno non può essere degno di un dono, se prima non lo ha meritato a rigore di giustizia. Perciò uno può meritare in tal modo la prima grazia.
3. Presso gli uomini uno può meritare un dono ricevuto in precedenza: chi, p. es., ha ricevuto un cavallo dal suo padrone, può meritarlo usandone bene a servizio del padrone. Ora, Dio è più generoso degli uomini. Dunque a maggior ragione uno può meritare da Dio, con le opere successive, la prima grazia ricevuta in precedenza.

IN CONTRARIO: La nozione di grazia è incompatibile con quella di mercede; secondo le parole di S. Paolo: "A chi opera la mercede non si conteggia a titolo di grazia, ma come cosa dovuta". Ma quanto l'uomo merita è conteggiato come mercede del suo operare. Perciò egli non può meritare la prima grazia.

RISPONDO: Il dono della grazia si può considerare sotto due aspetti. Primo, sotto l'aspetto di dono gratuito. E da questo lato qualsiasi merito è incompatibile con la ragione di grazia: perché una cosa, come dice l'Apostolo, "se deriva dalle opere, non è per grazia". - Secondo, si può considerare rispetto alla natura del dono stesso. E anche da questo lato la prima grazia non può essere meritata da chi non è in grazia: sia perché essa sorpassa la capacità della natura; sia perché prima della grazia, nello stato di colpa l'uomo trova nel peccato un ostacolo a meritarla. E quando uno è in grazia, la grazia che ha già ricevuto non può essere meritata: perché la mercede è un risultato dell'operazione, mentre la grazia è principio, o causa di ogni nostra opera buona, come sopra abbiamo spiegato. Se poi uno merita un altro dono gratuito in forza della grazia precedente, esso non sarà il primo. Perciò è chiaro che nessuno può meritare la prima grazia.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel libro delle Ritrattazioni S. Agostino dichiara che egli per un certo tempo si era ingannato, credendo che l'inizio della fede venisse da noi, e che il compimento ci fosse offerto da Dio: opinione che egli ritratta. Alla suddetta posizione sembra sia da riferirsi la frase: "la fede merita la giustificazione". Se invece riteniamo, come siamo tenuti a credere, che l'inizio della fede deriva in noi da Dio; allora è chiaro che l'atto stesso della fede segue la prima grazia, e non può meritarla. Perciò l'uomo è giustificato dalla fede non nel senso che meriti la giustificazione col credere: ma per il fatto che crede mentre viene giustificato; poiché nella giustificazione dell'empio si richiede, come abbiamo visto nella questione precedente, un atto di fede.
2. Dio dà la grazia solo a coloro che ne sono degni. Tuttavia non si pensi che costoro siano già degni prima; ma li rende degni lui stesso, "che solo può rendere mondo chi fu concepito da seme immondo".
3. Tutte le opere buone dell'uomo derivano causalmente dalla prima grazia. Non hanno invece questa derivazione unica da un qualsiasi dono umano. Perciò il confronto tra il dono della grazia e i doni umani non regge.

ARTICOLO 6

Se si possa meritare per un altro la prima grazia

SEMBRA che un uomo possa meritare per un altro la prima grazia. Infatti:
1. A proposito di quel passo evangelico, "Gesù vista la loro fede, ecc.", la Glossa commenta: "Quanto deve valere presso Dio la fede propria, se valse tanto quella altrui da sanare un uomo, e nell'anima e nel corpo!". Ma il risanamento interiore avviene mediante la grazia. Dunque l'uomo può meritare la prima grazia per un altro.
2. Le preghiere dei giusti non sono vane, ma efficaci; poiché a detta di S. Giacomo: "La preghiera assidua del giusto ha grande potenza". Ma avanti egli aveva detto: "Pregate l'uno per l'altro, per essere salvi". Ora, siccome la salvezza dell'uomo non può venire che dalla grazia, sembra che un uomo possa meritare per un altro la prima grazia.
3. Sta scritto: "Fatevi degli amici col mammona d'iniquità, affinché quando voi venite a mancare, vi accolgano nei tabernacoli eterni". Ma non si è ricevuti nel tabernacoli eterni che mediante la grazia, con la quale soltanto uno può meritare la vita eterna, come sopra abbiamo detto. Dunque un uomo può acquistarla per un altro, meritandogli la prima grazia.

IN CONTRARIO: Si legge in Geremia: "Quand'anche Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, l'animo mio non si volgerebbe più verso questo popolo". Eppure costoro furono di un merito grandissimo presso Dio. Perciò è chiaro che nessuno può meritare per un altro la prima grazia.

RISPONDO: Abbiamo già spiegato che le nostre opere possono essere meritorie per due motivi. Primo, in forza della mozione divina: e per tale motivo uno merita a rigore di giustizia. Secondo, sono meritorie in quanto derivano dal libero arbitrio e vengono compiute volontariamente. E da questo lato si ha un merito di convenienza: è infatti conveniente che quando un uomo s'impegna con le sue forze, Dio operi in maniera superiore secondo l'eccellenza della sua virtù.
Da ciò risulta evidente che nessuno può meritare la prima grazia per un altro in maniera rigorosa, a eccezione di Cristo. Poiché ciascuno di noi è mosso da Dio col dono della grazia a raggiungere personalmente la vita eterna: e quindi il merito rigoroso non si estende al di là di tale mozione. Invece l'anima di Cristo è mossa da Dio con la grazia non solo a raggiungere personalmente la gloria della vita eterna, ma anche a condurci gli altri, come capo della Chiesa e autore dell'umana salvezza: per questo la Scrittura lo denomina: "Colui che ha preso a condurre molti figli alla gloria, l'autore della salvezza, ecc.".
Al contrario uno può meritare a un altro la prima grazia con un merito di convenienza. Infatti, dal momento che un uomo in grazia adempie la volontà di Dio, è conveniente, secondo i rapporti dell'amicizia, che Dio adempia la di lui volontà col salvare un altro: sebbene talora possa esserci un ostacolo da parte di colui la cui giustificazione è desiderata da un santo. Per codesti casi valgono appunto le parole di Geremia sopra riportate.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La fede altrui può meritare la salvezza di un uomo, non con un merito rigoroso, o condegno, ma con un merito di convenienza, o congruenza.
2. L'impetrazione della preghiera si fonda sulla misericordia: invece il merito rigoroso si fonda sulla giustizia. Ecco perché l'uomo con la preghiera impetra molte cose dalla divina misericordia, che però non ha meritate secondo giustizia. Infatti nella Scrittura si legge: "Non già fidando sulle nostre opere di giustizia noi umiliamo le nostre preci davanti alla tua faccia, ma fiduciosi nella tua grande misericordia".
3. Si dice che i poveri i quali ricevono le elemosine accolgono gli altri negli eterni tabernacoli, o perché impetrano loro il perdono con la preghiera, o perché lo meritano in senso lato con altre opere buone, oppure in senso letterale, per il fatto che mediante le opere di misericordia compiute a favore dei poveri, uno merita di essere ricevuto negli eterni tabernacoli.

ARTICOLO 7

Se uno possa meritare di risorgere dopo un peccato

SEMBRA che uno possa meritare di risorgere dopo un peccato. Infatti:
1. L'uomo può meritare quello che si può chiedere a Dio con giustizia. Ora, a detta di S. Agostino, niente si chiede a Dio più giustamente della riparazione dopo la colpa, secondo le parole del Salmo: "Quando verrà meno la mia forza, non m'abbandonare". Dunque l'uomo può meritare di risorgere dopo il peccato.
2. Le opere personali giovano più a chi le compie che agli altri. Eppure uno in qualche modo può meritare per gli altri la riparazione dopo il peccato, come pure la prima grazia. Perciò a maggior ragione può meritare per sé di risorgere dopo il peccato.

3. Chi è stato in grazia per un certo tempo, con le opere buone compiute ha meritato la vita eterna, com'è evidente dalle conclusioni precedenti. Ma uno non può raggiungere la vita eterna, se non viene rinnovato dalla grazia. Dunque egli deve aver meritato anche il ravvedimento futuro mediante la grazia.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "Se il giusto avrà traviato dalla sua giustizia, e avrà commesso delle iniquità; tutte le sue opere giuste non saranno più ricordate". Dunque non gli gioveranno più nulla i meriti precedenti per poter risorgere. E quindi nessuno può meritare di risorgere dopo un'eventuale caduta.

RISPONDO: Nessuno può meritare a se stesso il ravvedimento dopo una caduta futura, né a rigore di giustizia, né per una certa convenienza. Non può meritarlo a rigore di giustizia, perché il merito rigoroso dipende da una mozione della grazia divina, mozione che viene a cessare col peccato successivo. Perciò tutti i benefici che uno poi riceve da Dio per giungere al ravvedimento, non sono meritori; poiché la mozione della grazia antecedente non ha influsso su di essi.
Inoltre il merito di convenienza, col quale si può meritare per altri la prima grazia, viene impedito di raggiungere il suo effetto dall'ostacolo del peccato in colui per il quale si vuol meritare. Perciò assai di più è compromessa l'efficacia di codesto merito, se l'ostacolo si trova, sia in chi merita, sia in colui per il quale s'intende meritare. E nel caso i due ostacoli si assommano nella stessa persona. Dunque in nessun modo uno può meritare a se stesso di risorgere dopo un peccato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il desiderio di risorgere dopo una eventuale caduta, come pure l'analoga preghiera, si dicono giusti; perché tendono alla giustizia, e non perché si appellino alla giustizia come altrettanti meriti: ma fanno appello alla misericordia.
2. Uno può meritare per altri, con un merito di convenienza, la prima grazia, perché non ci sono ostacoli, almeno da parte di chi merita. Invece codesti ostacoli insorgono, quando uno si allontana dalla giustizia dopo aver guadagnato il merito della grazia.

3. Alcuni hanno affermato che, ad eccezione per l'atto finale della grazia, uno non si merita mai la vita eterna in senso assoluto, ma solo in maniera condizionale, se persevererà. - Ma questa opinione è irragionevole: poiché spesso l'atto della grazia finale è meno meritorio degli atti precedenti, per la depressione dovuta alla malattia.
Perciò si deve ritenere che qualsiasi atto di carità merita la vita eterna in senso assoluto. Ma un peccato successivo impedisce al merito precedente di raggiungere il suo effetto: come le cause fisiche non raggiungono i loro effetti per gli ostacoli che possono sopravvenire.

ARTICOLO 8

Se l'uomo possa meritare l'aumento della grazia, o della carità

SEMBRA che l'uomo non possa meritare l'aumento della grazia, o della carità. Infatti:
1. Quando uno ha ricevuto la mercede che merita, non ha diritto ad altra mercede, secondo le parole evangeliche rivolte a certuni: "Hanno ricevuto la loro mercede". Perciò, se uno meritasse l'aumento della carità o della grazia, ne seguirebbe che, una volta avuto codesto aumento, non potrebbe sperare più un altro premio. Il che è inammissibile.
2. Nessuna cosa può agire al di là della sua specie. Ora, principio del merito, come abbiamo spiegato, è la grazia o la carità. Dunque nessuno può meritare una grazia o una carità più grande di quella che possiede.
3. L'uomo merita quanto può essere meritato con qualsiasi atto che derivi dalla grazia o dalla carità: come merita, con qualsiasi atto del genere, la vita eterna. Ora, se si potesse meritare l'aumento della grazia o della carità, si dovrebbe meritare codesto aumento con qualsiasi atto informato dalla carità. Ma quanto l'uomo merita viene infallibilmente concesso da Dio, se non l'impedisce un peccato successivo; poiché sta scritto: "So in chi ho posto fede, e son convinto che egli ha il potere di conservare il mio deposito". Quindi ne seguirebbe che un qualsiasi atto meritorio verrebbe ad accrescere la grazia o la carità. Ma questo non è ammissibile: perché talora gli atti meritori non sono tanto ferventi, da determinare un aumento di carità. Dunque l'aumento della carità non può essere meritato.

IN CONTRARIO: S. Agostino insegna, che "la carità merita di essere aumentata, e una volta aumentata merita di essere perfezionata". Dunque è possibile meritare l'aumento della carità, o della grazia.

RISPONDO: Abbiamo già spiegato sopra che può essere meritato a rigore di giustizia quanto ricade sotto l'influsso della mozione della grazia. Ora, l'influsso di una causa movente non si estende solo all'ultimo termine del moto, ma a tutto lo svolgimento del moto stesso. Ebbene, termine del moto nella grazia è la vita eterna; ma lo sviluppo di codesto moto si attua come aumento della carità e della grazia, secondo le parole dei Proverbi: "Il sentiero dei giusti è come la luce che spunta, s'avanza, cresce fino al giorno completo", cioè fino al giorno della gloria. Perciò l'aumento della grazia può essere meritato a rigore di giustizia.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il premio non è che il termine del merito. Ma un moto può avere due termini: il termine ultimo; e quello intermedio, che è insieme principio e fine. Tale è la mercede dell'aumento. Invece la mercede della gloria umana è come un termine ultimo, per coloro che in esso ripongono il loro fine: perciò essi non raggiungono altra mercede.
2. L'aumento della grazia non supera la virtualità della grazia preesistente, pur superandone la grandezza: come avviene per l'albero, il quale, sebbene sia più grande del seme, tuttavia non ne sorpassa la virtù.
3. Con qualsiasi atto meritorio l'uomo merita l'aumento della grazia, come ne merita il coronamento, che è la vita eterna. Ora, come la vita eterna non viene concessa subito, ma a suo tempo, così la grazia non viene aumentata subito, ma a suo tempo, cioè quando uno sarà adeguatamente predisposto a tale aumento.

ARTICOLO 9

Se l'uomo possa meritare la perseveranza

SEMBRA che un uomo possa meritare la perseveranza. Infatti:
1. Ciò che un uomo può ottenere con la preghiera, può essere meritato da chi è in grazia. Ora, gli uomini possono ottenere da Dio con la preghiera la perseveranza: altrimenti, come nota S. Agostino, inutilmente verrebbe chiesta nelle domande del Pater Noster. Dunque la perseveranza può essere meritata da chi è in grazia.
2. È un dono più grande non poter peccare che il non peccare. Ora, non poter peccare è oggetto di merito: infatti uno può meritare la vita eterna, in cui è inclusa l'impeccabilità. Perciò a maggior ragione uno può meritare di non peccare: vale a dire di perseverare.
3. Aumentare la grazia è più che perseverare nella grazia che uno possiede. Ma un uomo può meritare, come abbiamo visto, l'aumento della grazia. Molto più, dunque, può meritare la perseveranza nella grazia che possiede.

IN CONTRARIO: Tutto ciò che uno merita l'ottiene da Dio, se non vi mette l'ostacolo del peccato. Eppure molti, pur avendo opere meritorie, non ottengono la perseveranza. Né si dica che ciò avviene per l'ostacolo del peccato; perché è proprio il cadere in peccato che distrugge la perseveranza; e quindi se uno meritasse la perseveranza, Dio non permetterebbe che egli cadesse in peccato. Perciò la perseveranza non si può meritare.

RISPONDO: Avendo l'uomo il libero arbitrio pieghevole per natura al bene e al male, uno può ottenere da Dio la perseveranza nel bene in due maniere. Primo, con la determinazione del libero arbitrio mediante la grazia portata al suo ultimo termine: il che avviene nella gloria. Secondo, mediante una mozione divina, che inclina l'uomo al bene sino alla fine. Ma da quanto si è già detto risulta che è oggetto di merito ciò che costituisce il termine del libero arbitrio guidato dalla mozione divina: e non ciò che ne costituisce il principio. Ecco perché la perseveranza della gloria, che è termine del suddetto moto, è oggetto di merito: mentre la perseveranza dei viatori non può essere meritata, perché dipende unicamente dalla mozione divina, che è il principio di qualsiasi merito. E Dio dona gratuitamente il bene della perseveranza a chiunque lo dona.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Con la preghiera possiamo impetrare anche ciò che non meritiamo. Dio infatti ascolta anche i peccatori che gli chiedono il perdono delle offese, perdono che essi non meritano. Ciò è evidente dalle spiegazioni date da S. Agostino su quel passo di S. Giovanni: "Sappiamo bene che Dio non esaudisce i peccatori". Altrimenti il pubblicano avrebbe detto inutilmente: "O Dio, abbi pietà di me, che son peccatore". E così uno con la preghiera può impetrare da Dio, per se medesimo e per altri il dono della perseveranza, sebbene non possa meritarlo.
2. La perseveranza che avremo nella gloria sta al moto meritorio del libero arbitrio come termine: non così la perseveranza della vita presente, per il motivo indicato.
3. Lo stesso si dica per l'aumento della grazia, come risulta dalle cose dette in precedenza.

ARTICOLO 10

Se i beni temporali possano essere oggetto di merito

SEMBRA che i beni temporali possano essere oggetto di merito. Infatti:
1. Quanto viene promesso a qualcuno come premio di giustizia è oggetto di merito. Ma i beni temporali furono promessi nell'antica legge come mercede di giustizia. Dunque essi sono oggetto di merito.
2. È oggetto di merito ciò che Dio contraccambia a qualcuno per un servizio prestato. Ora, Dio a volte ripaga gli uomini, per il servizio a lui prestato, con dei beni temporali. Nell'Esodo infatti si legge: "Siccome le levatrici avevano temuto Dio, questi fece prosperare le loro famiglie". E S. Gregorio spiega, che "la mercede della loro compassione avrebbe potuto consistere nella vita eterna: ma per il peccato di bugia ricevette soltanto una ricompensa terrena". E in Ezechiele si legge: "Il re di Babilonia ha costretto le sue soldatesche a un lungo servizio contro Tiro, e non ritrasse nessun compenso"; e poi continua: "Come mercede darò a codesto esercito la terra d'Egitto, per le fatiche che ha sostenuto per me". Dunque i beni temporali sono oggetto di merito.
3. Il bene sta al merito come il male al demerito. Ora, per il demerito dei peccati alcuni sono puniti da Dio con pene temporali: ciò è evidente nel caso dei Sodomiti, Perciò i beni temporali sono oggetto di merito.

IN CONTRARIO: Quanto è oggetto di merito non può riguardare tutti allo stesso modo. Invece i beni e i mali temporali riguardano allo stesso modo i buoni e i cattivi, secondo le parole dell'Ecclesiaste: "Tutto accade a un modo per il giusto e per l'empio, per il buono e per il malvagio, per il puro e l'impuro, per chi offre sacrifici e per chi li disprezza". Perciò i beni temporali non sono oggetto di merito.

RISPONDO: Quanto è oggetto di merito, è un premio o una mercede, vale a dire un bene. Ora, il bene umano può essere di due specie: bene in senso assoluto, e bene in senso relativo. Bene dell'uomo in senso assoluto è il fine ultimo, secondo l'espressione dei Salmi: "Bene per me è stare unito a Dio"; e di conseguenza tutto ciò che è fatto per condurre a codesto fine. E tali cose sono in senso assoluto oggetto di merito. - È invece un bene per l'uomo in senso relativo quanto è un bene per lui momentaneamente e in rapporto a qualche cosa. E codesto bene non è oggetto di merito in senso assoluto, ma soltanto relativo.
Si deve perciò concludere che, se i beni temporali vengono considerati come utili agli atti della virtù, con i quali si raggiunge la vita eterna, allora essi sono in senso diretto e assoluto oggetto di merito: cioè come l'aumento della grazia e tutte le altre cose con le quali l'uomo viene soccorso per giungere alla beatitudine dopo la prima grazia. Infatti Dio concede ai giusti quel tanto di beni come di mali temporali, che giova ad essi per giungere alla vita eterna. E in tale misura codesti beni sono beni in senso assoluto. Perciò si dice nei Salmi: "Chi teme il Signore non manca di nessun bene"; e altrove: "Non ho mai visto il giusto abbandonato".
Se invece codesti beni temporali si considerano in se stessi, allora essi non sono beni umani in senso assoluto, ma solo relativo. E quindi non sono oggetto diretto, ma solo indiretto del merito cioè in quanto gli uomini sono mossi da Dio a compiere certe cose nell'ordine temporale, nelle quali, con l'aiuto divino, raggiungono le loro aspirazioni. Quindi, come la vita eterna, secondo le spiegazioni date, è il premio diretto delle opere buone in rapporto alla mozione divina; così i beni temporali, in se stessi considerati, hanno l'aspetto di mercede in rapporto a quella mozione divina che muove il volere umano al raggiungimento di essi; sebbene nel perseguirli gli uomini talora non abbiano una retta intenzione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come insegna S. Agostino, "in quelle promesse temporali troviamo la figura dei futuri beni spirituali, che si sono compiute in noi. Infatti quel popolo carnale si attaccava alle promesse della vita presente: di esso però non soltanto le parole, ma anche la vita, erano una profezia".
2. Si afferma che tali ricompense erano fatte da Dio in rapporto alla mozione divina: non già in rapporto alla malizia del volere (umano). Specialmente per quanto riguarda il re di Babilonia, il quale assediò Tiro non per servire Dio, ma per usurpare un regno. - Così pure le levatrici (egiziane), sebbene avessero una volontà retta nel salvare i bambini, tuttavia non fu retta codesta volontà nel concertare una menzogna.
3. I mali temporali sono inflitti ai cattivi come castighi: perché non se ne servono per raggiungere la vita eterna. Invece per i giusti, che si avvantaggiano di codesti mali, essi non sono castighi, ma piuttosto medicine, come abbiamo detto già in precedenza.
4. Tutto capita ugualmente ai buoni e ai cattivi, se si considera la natura dei beni o dei mali temporali. Non così se se ne considera il fine: poiché i buoni da codeste cose vengono guidati alla beatitudine, a differenza dei cattivi.
E questo basti per la morale in genere.