Il Santo Rosario

I Frutti dello Spirito Santo

Summa Theologiae

Somma Teologica I-II, q. 70

Ed eccoci a parlare dei frutti (dello Spirito Santo).
Sull'argomento svolgeremo quattro punti: 1. Se i frutti dello Spirito Santo siano atti; 2. Se differiscano dalle beatitudini; 3. Il loro numero; 4. La loro contrapposizione alle opere della carne.

ARTICOLO 1

Se i frutti dello Spirito Santo di cui parla l'Apostolo siano atti

SEMBRA che i frutti dello Spirito Santo di cui parla l'Apostolo (Gal 5,22-23) non siano atti. Infatti:
1. Una cosa da cui ci si attendono frutti non deve essa stessa essere denominata frutto: ché allora si andrebbe all'indefinito. Ora dai nostri atti derivano già dei frutti; poiché sta scritto: "Il frutto delle generose fatiche è glorioso"; e altrove: "Chi miete riceve già la sua mercede e raccoglie frutto per la vita eterna". Dunque i nostri atti non possono dirsi frutti.
2. S. Agostino insegna che "noi fruiamo di quegli oggetti di conoscenza nei quali la volontà riposa godendoseli per se stessi". Ora, la nostra volontà non deve riposare così nei nostri atti. Quindi i nostri atti non possono dirsi frutti.
3. Tra i frutti dello Spirito Santo nominati dall'Apostolo ci sono delle virtù, e cioè la carità, la mansuetudine, la fede e la castità. Ma le virtù non sono atti, bensì abiti, come abbiamo visto. Perciò i frutti non sono atti.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dal frutto si conosce l'albero"; e cioè, a dire dei Santi (Dottori), l'uomo si conosce dalle sue opere. Dunque gli atti umani sono denominati frutti.

RISPONDO: Il termine frutto è passato a indicare cose spirituali da quelle materiali. Ora, nelle cose materiali si dice frutto ciò che la pianta produce giunta che sia alla sua perfezione, ed in se stesso ha una certa dolcezza. E codesto frutto si può riferire a due cose: all'albero che lo produce e all'uomo che dall'albero lo raccoglie. Per analogia anche nelle cose spirituali il frutto può avere questi due significati: primo, può indicare il frutto dell'uomo, come se si trattasse di un albero, cioè quello che egli produce; secondo, può indicare quello che l'uomo raccoglie o ricava.
Ora, non tutto ciò che l'uomo raccoglie si presenta come frutto: ma solo ciò che è ultimo, ed è insieme piacevole. Infatti un uomo può possedere e il campo e l'albero, che non sono frutti; ma si dicono frutti solo le cose ultime, quello cioè che l'uomo intende ricavare dal campo e dall'albero. Per questo frutto dell'uomo è l'ultimo fine, di cui egli deve fruire.
Se però si considera frutto dell'uomo quello che egli produce, allora gli stessi atti umani si dicono frutti: infatti l'operazione è l'atto secondo del soggetto operante, ed è piacevole, se è ad esso proporzionata. Se dunque un'operazione umana deriva da un uomo secondo la capacità della sua ragione, si dice che è frutto della ragione. Se invece deriva dall'uomo per una virtù superiore, che è quella dello Spirito Santo, allora si dice che l'operazione dell'uomo è un frutto dello Spirito Santo, come se si trattasse di un seme divino; poiché sta scritto: "Chiunque è nato da Dio non fa peccato, perché tiene in sé un germe di lui".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il frutto, in qualche modo ha natura di ultimo e di fine; perciò niente impedisce che il frutto di una cosa sia esso stesso già un frutto, poiché un fine può essere ordinato a un altro fine. Perciò le nostre opere, in quanto sono effetti dello Spirito Santo operante in noi, hanno natura di frutto; ma in quanto sono ordinate al fine della vita eterna, hanno piuttosto natura di fiori. Perciò sta scritto: "I miei fiori sono frutti di gloria e di ricchezza".
2. Quando si dice che la volontà gode di una cosa per se stessa, l'affermazione si può intendere in due modi. Primo, in quanto la preposizione per indica la causa finale: e in tal senso uno non si gode per se stesso che l'ultimo fine. Secondo in quanto codesta preposizione indica una causa formale: e in tal senso uno può godere di tutto ciò che è piacevole per la sua forma. Un infermo, p. es., gode della guarigione per se stessa, come fine; ma anche della medicina dolce non come fine, ma come di cosa avente un buon sapore; invece in nessun modo gradisce per se stessa la medicina amara, ma solo in vista di un'altra cosa. - Perciò bisogna rispondere che l'uomo deve fruire solo di Dio per se stesso, come ultimo fine: e rallegrarsi degli atti virtuosi non come per un fine, ma per l'onestà che essi contengono, piacevole per le persone virtuose. Perciò S. Ambrogio afferma che le opere virtuose si dicono frutti, "perché saziano chi le possiede di una santa e sincera gioia".
3. Talora i nomi delle virtù stanno per i loro atti: in tal senso S. Agostino, p. es., scrive che "la fede è credere quello che uno non vede", e che "la carità è il moto dell'animo verso l'amore di Dio e del prossimo". E in questo senso sono presi i nomi delle virtù nell'enumerazione dei frutti.

ARTICOLO 2

Se i frutti differiscano dalle beatitudini

SEMBRA che i frutti non differiscano dalle beatitudini. Infatti:
1. Le beatitudini sono attribuite ai doni, come abbiamo detto. Ma i doni assicurano all'uomo la perfezione derivante dalla mozione dello Spirito Santo. Dunque le beatitudini non sono che frutti dello Spirito Santo.
2. Come i frutti di vita eterna stanno alla beatitudine futura, propria della realtà, così i frutti della vita presente stanno alle beatitudini della vita presente, proprie della speranza. Ma il frutto di vita eterna non è che la beatitudine futura. Perciò anche i frutti della vita presente non sono che le beatitudini.
3. Il frutto è essenzialmente qualche cosa di ultimo e di piacevole. Ora questo, secondo le spiegazioni date, rientra nell'essenza della beatitudine. Dunque l'essenza del frutto e della beatitudine si identificano. E quindi non si devono distinguere tra loro.

IN CONTRARIO: Quando due cose hanno specie diverse, sono diverse anche tra loro. Ora, le suddivisioni delle beatitudini e dei frutti sono diverse; il che è evidente dalle rispettive enumerazioni. Perciò i frutti sono differenti dalle beatitudini.

RISPONDO: Per avere la beatitudine si richiede di più che per il frutto. Infatti per il frutto basta che una cosa si presenti come ultima e piacevole: invece per la beatitudine si richiede inoltre che sia qualche cosa di perfetto e di eccellente. Cosicché tutte le beatitudini possono chiamarsi frutti, ma non viceversa. Infatti qualunque azione virtuosa compiuta con gioia è un frutto. Invece si dicono beatitudini le sole azioni perfette: le quali inoltre, a motivo della loro perfezione, sono più attribuite ai doni che alle virtù, come abbiamo già notato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento dimostra che le beatitudini sono frutti: non già che tutti i frutti sono beatitudini.
2. Il frutto di vita eterna è ultimo e perfetto in senso assoluto: e quindi non si distingue affatto dalla beatitudine futura. Invece i frutti della vita presente non sono ultimi e perfetti in senso assoluto: perciò non tutti i frutti sono beatitudini.
3. Come abbiamo spiegato, la nozione di beatitudine richiede di più che la nozione di frutto.

ARTICOLO 3

Se i frutti siano ben enumerati dall'Apostolo

SEMBRA che i frutti non siano ben enumerati dall'Apostolo nella sua epistola ai Galati. Infatti:
1. Altrove egli parla di un unico frutto della vita presente: "Avete il frutto nella vostra santificazione". E in Isaia si dice: "E tutto il frutto sarà questo, che il peccato sia tolto via". Dunque non si devono enumerare dodici frutti.
2. Il frutto, come si è visto, nasce da un seme spirituale. Ora, il Signore fa derivare tre soli tipi di frutto dal seme spirituale, e cioè: "il cento per uno, il sessanta per uno", e "il trenta per uno". Perciò non si possono ammettere dodici frutti.
3. Il frutto dev'essere essenzialmente qualche cosa di ultimo e di piacevole. Ora, questa nozione non si riscontra in tutti i frutti enumerati dall'Apostolo: infatti la pazienza e la longanimità sembrano consistere in cose rattristanti; mentre la fede non si presenta come cosa ultima, bensì come primo fondamento. Perciò codesta enumerazione dei frutti è pleonastica.

IN CONTRARIO: Sembra che l'enumerazione sia insufficiente. Infatti ora abbiamo dimostrato che tutte le beatitudini possono essere chiamate frutti: ma qui non tutte vengono enumerate. Inoltre non c'è niente che si riferisca all'atto della sapienza e di molte altre virtù. Quindi sembra che l'enumerazione dei frutti sia insufficiente.

RISPONDO: Il numero dei dodici frutti enumerati dall'Apostolo è appropriato: e possiamo vederne un'immagine nei dodici frutti di cui parla l'Apocalisse: "Di qua e di là dal fiume l'albero della vita, che fa dodici frutti". La distinzione poi di questi frutti va presa dalle varie funzioni che compie in noi lo Spirito Santo; poiché frutto non è che quanto deriva come un effetto dal seme, o dalla radice. Ora, codeste funzioni hanno questo sviluppo: prima ordinano l'anima dell'uomo in se stessa; secondo, la ordinano rispetto alle cose che sono da presso; terzo, la ordinano in quelle che sono al di sotto.
Ora, l'anima è ordinata in se medesima quando nel bene e nel male ha una retta disposizione. E la prima sua disposizione al bene è dovuta all'amore, che è il primo degli affetti, e la radice di tutti gli altri, come abbiamo visto in precedenza. Perciò tra i frutti dello spirito al primo posto abbiamo la carità; nella quale lo Spirito Santo viene dato come in una somiglianza appropriata, essendo egli stesso amore. Infatti S. Paolo scrive: "La carità di Dio s'è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato". - Ma all'amore di carità segue necessariamente la gioia. Poiché chi ama gode sempre nell'unione con l'amato. Ora, la carità ha sempre presente quel Dio che ama: "Chi sta nella carità sta in Dio e Dio è in lui". Per questo alla carità segue la gioia. - E la perfezione della gioia è la pace, nei suoi due elementi. Primo, rispetto alla quiete dai turbamenti esterni: infatti non può godere perfettamente del bene amato, chi da altri viene distolto dalla fruizione di esso; e d'altra parte chi ha il cuore perfettamente appagato in una cosa, non può essere molestato dalle altre, ché non le considera affatto. Egli attua così le parole del Salmo: "Molta pace per quelli che aman la tua legge, e non v'è inciampo per essi", non essendo essi distolti per cose esterne dal godere di Dio. Secondo, rispetto alla sazietà dell'inquieto desiderio: poiché non si può godere perfettamente, se quel che si gode non basta. Ora, la pace implica queste due cose: non essere turbati dall'esterno, e l'acquietarsi del nostro desiderio in una data cosa. Perciò, dopo la carità e la gioia, al terzo posto troviamo la pace. - Rispetto al male la buona disposizione dell'anima richiede due cose. Primo, l'assenza di turbamento nell'imminenza di cose dolorose: e questo si riduce alla pazienza. - Secondo, l'assenza di turbamento nella dilazione di cose piacevoli: e questo si riduce alla longanimità: infatti, a dire di Aristotele, "la mancanza di un bene ha l'aspetto di male".
Rispetto alle cose che sono vicine all'uomo, cioè rispetto al prossimo, l'anima umana viene ben disposta: primo, quanto alla volontà di far del bene. E in questo abbiamo la bontà. - Secondo, quanto all'esercizio della beneficenza. E in questo abbiamo la benignità: infatti si dicono benigni coloro che il buon igne (o fuoco) dell'amore rende fervidi nel beneficare il prossimo. - Terzo, nell'equanime sopportazione del male ricevuto. E in questo abbiamo la mansuetudine, la quale trattiene l'ira. - Quarto, nel non limitarsi a non nuocere al prossimo con l'ira, ma neppure con la frode o con l'inganno. E in questo abbiamo la fede, se le diamo il senso di fedeltà. Se invece la prendiamo come fede in Dio, allora da essa l'uomo viene ordinato alle cose che sono sopra di lui: così da sottomettere a Dio il suo intelletto, e quindi tutte le sue cose.
Invece rispetto alle cose che sono al di sotto di sé l'uomo viene ben disposto innanzi tutto, per le azioni esterne, dalla modestia, che ne regola tutti i gesti e le parole. - E per le concupiscenze interiori dalla continenza e dalla castità: sia che esse si distinguano per il fatto che, mentre la castità trattiene l'uomo dai piaceri illeciti, la continenza lo trattiene anche da quelli leciti; sia che si distinguano per il fatto, che, mentre il continente prova le concupiscenze, ma non ne è trascinato, il casto non le prova e non ne è trascinato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La santificazione e l'eliminazione del peccato avviene mediante tutte le virtù. Perciò in quei testi si parla di frutto al singolare data l'unità del genere: questo però si suddivide in più specie, che danno una pluralità di frutti.
2. I suddetti tre tipi di frutto non dividono il genere nelle varie specie di atti virtuosi: ma dividono il frutto secondo i diversi gradi anche nell'ambito di una stessa virtù. Così la continenza coniugale si dice che è indicata dal frutto del trenta per uno; la continenza dei vedovi col sessanta; e quella verginale col cento per uno. Ma i Santi Dottori distinguono questi tre tipi di frutti anche in altri modi secondo tre gradi di virtù. E si parla di tre gradi, perché la perfezione di una cosa si può considerare nel suo principio, nel suo punto intermedio, e nel suo termine.
3. La stessa assenza di turbamento nelle cose tristi ha l'aspetto di cosa piacevole. - Anche la fede, se si prende come fondamento, ha un aspetto di cosa ultima e piacevole, in quanto implica certezza; di qui l'espressione della Glossa: "La fede, cioè la certezza delle cose invisibili".
4. S. Agostino, nel suo commento sull'epistola ai Galati, nota che "l'Apostolo non si è impegnato a insegnare quanti sono", o le opere della carne, o i frutti dello spirito; "ma a mostrare in quale genere si trovino le cose da evitare, e in quali quelle da perseguire". Cosicché si sarebbe potuto enumerare un numero maggiore, o minore di frutti. Però tutti gli atti delle virtù e dei doni si possono in qualche modo ridurre a questi (dodici), in quanto che le virtù e i doni devono tutti necessariamente ordinare l'anima in uno dei modi indicati. Quindi gli atti della sapienza e di altri doni riguardanti il bene, si riducono alla carità, al gaudio e alla pace. - Tuttavia l'Apostolo ha enumerato questi a preferenza di altri, perché quelli enumerati implicano meglio o fruizione del bene, o cessazione dal male; e questo è più legato alla nozione di frutto.

ARTICOLO 4

Se i frutti dello Spirito Santo siano contrari alle opere della carne

SEMBRA che i frutti non siano contrari alle opere della carne enumerate dall'Apostolo. Infatti:
1. I contrari sono nel medesimo genere. Ora, le opere della carne non sono chiamate frutti. Dunque i frutti dello spirito non sono ad esse contrari.

2. A una data cosa corrisponde un solo contrario. L'Apostolo invece enumera più opere della carne che frutti dello spirito. Perciò i frutti dello spirito e le opere della carne non sono contrari tra loro.
3. Tra i frutti dello spirito al primo posto troviamo la carità, la gioia e la pace: ad esse però non corrispondono le opere della carne enumerate al primo posto, e che sono la fornicazione, l'impurità, l'impudicizia. Quindi i frutti dello spirito non sono contrari alle opere della carne.

IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna, che "la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito li ha contrari alla carne".

RISPONDO: Le opere della carne e i frutti dello spirito si possono considerare sotto due aspetti. Primo, nella loro comune natura. E da questo lato tutti insieme i frutti sono contrari alle opere della carne. Infatti lo Spirito Santo muove l'anima umana verso ciò che è conforme alla ragione, o piuttosto verso ciò che è al di sopra di essa: invece gli appetiti della carne, cioè l'appetito sensitivo, trascinano verso i beni sensibili, che sono al di sotto dell'uomo. Perciò, come nel mondo fisico il moto verso l'alto e quello verso il basso sono contrari, così nell'uomo le opere della carne sono contrarie ai frutti dello spirito.
Secondo, si possono considerare nella natura propria di ciascun frutto e di ciascuna opera della carne. E da questo lato non è necessario che ognuno abbia il suo contrario: poiché, come abbiamo già ricordato, l'Apostolo non intendeva enumerare né tutte le opere spirituali, né tutte quelle carnali. - Tuttavia, secondo una certa corrispondenza, S. Agostino contrappone alle singole opere della carne determinati frutti. Così "alla fornicazione, che è l'amore di soddisfare il piacere fuori del legittimo matrimonio, si contrappone la carità, che unisce l'anima a Dio: e nella quale consiste la vera castità. Le impurità sono tutti i turbamenti concepiti per codesta fornicazione: e ad esse si contrappone la gioia della tranquillità. Inoltre la schiavitù degli idoli, che ha provocato la guerra contro il vangelo di Dio, si contrappone alla pace. Invece i contrari dei venefici, delle inimicizie, e delle discordie sono la longanimità, che aiuta a sopportare i mali delle persone tra le quali si vive; la benignità che aiuta a porvi rimedio; e la bontà che li fa dimenticare. Alle eresie si contrappone la fede; all'invidia la mansuetudine; alle ubriachezze e alle gozzoviglie la continenza".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che emana da un albero contro natura non si può chiamare frutto dell'albero, ma piuttosto corruzione di esso. E poiché le opere virtuose sono connaturali alla ragione, e quelle viziose sono ad essa contrarie, le prime si dicono frutti; non così gli atti viziosi.
2. A dire di Dionigi, "il bene avviene in un modo solo, il male in qualsiasi maniera": ecco perché a una sola virtù si contrappongono molti vizi. E quindi non c'è da meravigliarsi che nell'enumerazione siano più numerose le opere della carne che i frutti dello spirito.
3. È così risolta anche la terza difficoltà.