Il Santo Rosario

Dio

Somma Teologica I, q. 10

L'eternità di Dio

Passiamo ora a trattare dell'eternità. E in proposito si pongono sei quesiti: 1. Che cosa sia l'eternità; 2. Se Dio sia eterno; 3. Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio; 4. Se l'eternità differisca dal tempo; 5. Sulla differenza tra evo e tempo; 6. Se vi sia un solo evo, come vi è un solo tempo e una sola eternità.

ARTICOLO 1

Se l'eternità sia ben definita così: "Il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile"

SEMBRA che non sia esatta la definizione che dell'eternità dà Boezio dicendo che "l'eternità è il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile". Infatti:
1. Interminabile dice negazione: ora la negazione rientra soltanto nel concetto di quelle cose che sono defettibili: il che non conviene all'eternità. Dunque nella definizione dell'eternità non si deve mettere quell'interminabile.
2. L'eternità significa una certa durata. Ora, la durata riguarda più l'esistenza che la vita. Nella definizione dunque dell'eternità più che la vita dovrebbe porsi l'esistenza.
3. Intero o tutto si dice ciò che ha parti. Ora, l'eternità non ha parti, perché è semplice. Dunque quell'intero non sta bene.
4. Più giorni o più tempi non possono esistere simultaneamente. Ora, nell'eternità si nominano al plurale giorni e tempi, poiché è detto in Michea: "La sua origine è dal principio dei giorni dell'eternità"; e in S. Paolo: "Conforme alla rivelazione di un mistero taciuto per tempi eterni". Dunque l'eternità non è simultanea.
5. Intero e perfetto sono la stessa cosa. Posto dunque che l'eternità sia un possesso intero è superfluo aggiungervi perfetto.
6. Il termine possesso non include l'idea di durata, mentre l'eternità è una certa durata. Dunque l'eternità non è un possesso.

RISPONDO: Come per arrivare alla conoscenza delle cose semplici dobbiamo servirci delle cose composte, così alla cognizione dell'eternità è necessario arrivarci mediante la cognizione del tempo; il quale è la "misura numerica del moto secondo il prima ed il poi". Infatti, siccome in ogni moto vi è una successione ed una parte viene dopo l'altra, dal fatto che noi enumeriamo un prima ed un poi nel movimento, percepiamo il tempo; il quale non è altro che l'enumerazione di ciò che è prima e di quel che è dopo nel movimento. Ora, dove non c'è movimento, dove l'essere è sempre il medesimo, non si può parlare di prima e di poi. Come dunque l'essenza del tempo consiste nell'enumerazione del prima e del poi nel movimento, così nella percezione dell'uniformità di quel che è completamente fuori del moto, consiste l'essenza dell'eternità.
Ancora: si dicono misurate dal tempo le cose che hanno un cominciamento ed una fine nel tempo, come osserva Aristotele; per il motivo che a tutto quel che si muove si può sempre assegnare un inizio e un termine. Al contrario ciò che è del tutto immutabile, come non può avere una successione, così non può avere neppure un inizio ed un termine.
Concludendo, il concetto di eternità è dato da queste due cose: primo, dal fatto che ciò che è nell'eternità, è interminabile (senza termine) cioè senza principio e senza fine (riferendosi la parola termine all'uno e all'altra). In secondo luogo: per il fatto che la stessa eternità esclude ogni successione, "esistendo tutta insieme".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Siamo soliti definire in forma negativa le cose semplici, così il punto "è ciò che è senza parti". Non già perché la negazione appartenga alla loro essenza; ma perché il nostro intelletto, il quale apprende prima le cose composte, non può venire alla conoscenza del semplice che escludendo la composizione.
2. Ciò che è veramente eterno, non solo è ente (ha l'essere), ma è anche vivente; ed è proprio il vivere che si estende in certa guisa all'operazione, non già l'essere. Ora, l'estendersi della durata pare che si debba considerare secondo l'operazione, piuttosto che secondo l'essere: tanto è vero che anche il tempo è misura del movimento.
3. L'eternità si dice intera, non quasi che abbia delle parti, ma perché non le manca niente.
4. Come Dio, pur essendo incorporeo, nelle Scritture è chiamato metaforicamente con nomi di cose corporali, così anche l'eternità, pur esistendo "tutta insieme", è indicata con nomi che esprimono successione temporale.
5. Nel tempo ci sono da considerare due cose: cioè il tempo stesso, che esiste successivamente, e l'istante, che è qualche cosa di incompleto. Ora, l'eternità si dice simultanea per escludere il tempo; si dice perfetta per escludere l'istante.
6. Ciò che si possiede, si ha con stabilità e quiete. Quindi, (Boezio) adoperò il termine possesso per indicare che l'eternità è immutabile e indefettibile.

ARTICOLO 2

Se Dio sia eterno

SEMBRA che Dio non sia eterno. Infatti:
1. Niente di ciò che è causato può attribuirsi a Dio. Ora, l'eternità è qualche cosa di causato; dice infatti Boezio che "l'istante fluente fa il tempo, l'istante permanente fa l'eternità"; e S. Agostino dice che "Dio è autore dell'eternità". Dunque Dio non è eterno.
2. Ciò che è prima e dopo l'eternità non è misurato dall'eternità. Ora, Dio è prima dell'eternità, come dice il Liber De Causis, e dopo l'eternità, come appare dalla Scrittura che dice: "Il Signore regnerà in eterno, e al di là". Dunque a Dio non compete di essere eterno.
3. L'eternità è una misura. Ora, Dio non può essere misurato. Dunque l'eternità non gli appartiene.
4. Nell'eternità, perché simultanea, come si è detto, non esiste presente, passato e futuro. Ma nelle Scritture si adoperano, parlando di Dio, verbi al tempo presente, passato e futuro. Dunque Dio non è eterno.

IN CONTRARIO: Dice S. Atanasio: "Eterno è il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo".

RISPONDO: La nozione di eternità nasce dall'immutabilità, come quella di tempo deriva dal movimento, come risulta da ciò che si è detto. Quindi, essendo Dio sommamente immutabile, a lui in modo assoluto compete di essere eterno. E non è soltanto eterno, ma è anche la sua stessa eternità, mentre nessun'altra cosa è la propria durata, perché non è il proprio essere. Dio invece è il suo stesso essere uniforme, e perciò come è la sua essenza, così è la sua eternità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice che l'istante permanente fa l'eternità, ci si riferisce al nostro modo d'intendere. Infatti, come in noi viene causata l'idea di tempo in quanto concepiamo il fluire dell'istante, così in noi vien prodotta l'idea di eternità con l'apprendere l'immobilità dell'istante. - Riguardo poi a quel che dice S. Agostino che "Dio è l'autore dell'eternità", s'intende dell'eternità partecipata, perché Dio partecipa ad alcuni esseri la sua eternità al modo stesso che partecipa loro la sua immutabilità.
2. Con ciò resta risolta anche la seconda difficoltà. Si dice infatti che Dio è avanti l'eternità, intendendosi qui l'eternità partecipata dalle sostanze spirituali. E così nel medesimo libro si dice anche che "l'intelligenza è equiparata all'eternità". - Quanto alla frase della Scrittura: "Il Signore regnerà in eterno, e al di là", bisogna sapere che in quel punto la parola eterno sta per secolo, come si ha in altra versione. Così dunque si dice che Dio regnerà al di là dell'eternità, perché perdura oltre qualunque secolo, cioè oltre qualsiasi durata stabilita: per secolo infatti non s'intende altro che una durata periodica di una cosa qualsiasi, come dice Aristotele. - Oppure si dice che regna oltre l'eternità per indicare che se anche ci fosse qualche altra cosa che esistesse sempre (come, p. es., il movimento del cielo, secondo alcuni naturalisti), tuttavia Dio regnerebhe anche più in là (cioè in maniera più perfetta), in quanto il suo regno è tutto insieme (senza successione).
3. L'eternità non è altro che Dio medesimo. Quindi Dio si dice eterno non come se fosse in qualche modo misurato; ma l'idea di misura qui si prende solo secondo il nostro modo d'intendere.
4. Si applicano a Dio verbi di tempi diversi, perché la sua eternità include tutti i tempi; non già perché egli sia soggetto alla variabilità del presente, del passato e del futuro.

ARTICOLO 3

Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio

SEMBRA che essere eterno non sia esclusiva proprietà di Dio. Infatti:1. È detto nella Scrittura: "Quelli che istruiranno molti alla giustizia, saranno come astri nelle eternità senza fine". Ora, non ci sarebbero molte eternità se soltanto Dio fosse eterno. Non è dunque eterno soltanto Dio.
2. Nel Vangelo è scritto: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno". Dunque non il solo Dio è eterno.
3. Tutto ciò che è necessario è eterno. Ora, molte cose sono necessarie, p. es., tutti i principi della dimostrazione e tutte le proposizioni dimostrative. Dunque eterno non è solo Dio.

IN CONTRARIO: S. Girolamo scrive: "Soltanto Dio è senza inizio". Ora, tutto ciò che ha un inizio non è eterno. Quindi soltanto Dio è eterno.

RISPONDO: L'eternità veramente e propriamente è soltanto in Dio. Perché l'eternità deriva dall'immutabilità, come si è già provato; e d'altra parte solo Dio è del tutto immutabile, come abbiamo visto sopra. Tuttavia nella misura in cui alcune cose partecipano da Dio l'immutabilità da lui partecipano anche l'eternità.
Certe cose dunque partecipano da Dio l'immutabilità in questo senso che mai cessano di esistere, come nella Scrittura è detto della terra che "eternamente sussiste". Certe altre sono dette eterne nella Sacra Scrittura per la diuturnità della durata, sebbene siano corruttibili, come nei Salmi son chiamate "eterne le montagne", ed anche nel Deuteronomio si parla "dei frutti dei colli eterni". Altre cose anche più ampiamente partecipano la natura dell'eternità in quanto sono immutabili o nell'essere, o anche perfino nell'operare, com'è degli angeli e dei beati, ammnessi alla fruizione del Verbo; perché relativamente a quella visione del Verbo nei santi non ci sono "pensieri variabili", come dice S. Agostino. Cosicché di coloro che vedono Dio si dice che possiedono la vita eterna, secondo il detto della Scrittura: "la vita eterna consiste nel conoscere (Te, solo Dio vero)...".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dicono molte le eternità per indicare che sono molti coloro che partecipano dell'eternità per la contemplazione di Dio.
2. Il fuoco dell'inferno è detto eterno unicamente perché non finirà mai. Però nelle pene dei dannati vi saranno delle trasmutazionl, secondo il detto della Scrittura: "Ad eccessivo calore passi egli dalle acque delle nevi". Quindi nell'inferno non vi è vera eternità, ma piuttosto il tempo, secondo la frase del Salmo: "Il loro tempo si estenderà per tutti i secoli".
3. Necessario indica una modalità del vero. E il vero, a detta del Filosofo, è nell'intelletto. Per conseguenza le cose vere e necessarie sono eterne in quanto esistono in un intelletto eterno, che è soltanto l'intelletto divino. Non ne viene perciò che oltre Dio vi sia qualche cosa di eterno.

ARTICOLO 4

Se l'eternità differisca dal tempo

SEMBRA che l'eternità non si distingua dal tempo. Infatti:
1. È impossibile che due misure di durata coesistano, tranne il caso che una sia parte dell'altra: infatti due giorni o due ore non esistono simultaneamente; ma un giorno ed un'ora possono essere simultanei perché l'ora è una parte del giorno. Ma l'eternità ed il tempo sono insieme, e tutti e due importano una certa misura di durata. Quindi non essendo l'eternità una parte del tempo, perché l'eternità lo sopravanza e lo include, pare che il tempo sia una parte dell'eternità e non cosa diversa da essa.
2. Secondo Aristotele l'istante resta identico a se stesso in tutto il corso del tempo. Ma sembra costituire l'essenza stessa dell'eternità, il restare indivisibilmente la stessa in tutto il decorso del tempo. Dunque l'eternità è l'istante del tempo; ma l'istante non si distingue realmente dal tempo. Perciò l'eternità realmente non differisce dal tempo.
3. Come la misura del primo moto è la misura di tutti i movimenti, come dice Aristotele, così parrebbe che la misura del primo ente debba essere la misura di ogni ente. Ma la misura del primo essere, che è l'essere divino, è l'eternità. Dunque l'eternità è la misura di ogni ente. Ma l'essere delle cose corruttibili è misurato dal tempo. Quindi il tempo o è l'eternità, o qualche cosa di essa.

IN CONTRARIO: L'eternità è tutta simultaneamente; nel tempo invece vi è un prima ed un poi. Dunque tempo ed eternità non sono la stessa cosa.

RISPONDO: È manifesto che tempo ed eternità non sono la medesima cosa. Ma di tale diversità alcuni hanno assegnato questa ragione, che l'eternità non ha né inizio né termine, il tempo invece ha inizio e termine. Ma questa differenza è accidentale e non essenziale. Perché, supposto che il tempo sia sempre stato e che sempre abbia ad essere, come ammettono coloro che attribuiscono al cielo un movimento sempiterno, resterà pur sempre una differenza, al dire di Boezio, tra eternità e tempo per il motivo che l'eternità è tutta insieme, il che non compete al tempo; poiché l'eternità è la misura dell'essere permanente, il tempo invece è misura del movimento.
Tuttavia, se tale differenza si consideri rispetto alle cose misurate e non alle stesse misure, ha un certo valore: perché col tempo si misura soltanto ciò che ha inizio e termine nel tempo, come dice Aristotele. Cosicché se il movimento del cielo durasse sempre, il tempo non lo misurerebbe secondo tutta la sua durata, essendo l'infinito immensurabile, ma ne misurerebbe ogni ciclo, che nel tempo ha inizio e termine.
Però tale differenza potrebbe avere un valore anche rispetto a queste misure (della durata: tempo, evo, eternità), se inizio e termine si prendessero in potenza. Perché, anche supponendo che il tempo durasse sempre, sarebbe possibile, prendendone delle parti, determinare nel tempo un inizio e un termine, come quando parliamo d'inizio e di fine del giorno o dell'anno; ciò che non si verifica per l'eternità.
Tuttavia queste differenze sono conseguenze di quella che è la prima ed essenziale, cioè che l'eternità, diversamente dal tempo, è tutta simultaneamente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questa ragione sarebbe buona, se tempo ed eternità fossero misure dello stesso genere: il che appare esser falso se si considera di quali cose tempo ed eternità sono misura.
2. L'istante quanto alla sua realtà è identico a se stesso in tutto il corso del tempo, ma cambiano i suoi rapporti; perché come il tempo corrisponde al movimento, così l'istante del tempo corrisponde al soggetto mobile; ora, il soggetto che si muove è in se stesso identico per tutto il corso del tempo, ma cambia nei suoi rapporti, in quanto che adesso è qui e poi è là. E questa variazione (di rapporti) costituisce il movimento. Allo stesso modo, lo scorrere di un medesimo istante, in quanto subisce l'alternarsi dei rapporti, costituisce il tempo. L'eternità invece rimane identica e in se stessa e quanto a riferimenti o rapporti. Perciò l'eternità non s'identifica con l'istante del tempo.
3. Come l'eternità è la misura propria dell'essere, così il tempo è la misura propria del movimento. Quindi, quanto più un ente si allontana dalla fissità dell'essere e si trova soggetto al mutamento, tanto più si allontana dall'eternità e si assoggetta al tempo. Dunque l'essere delle cose corruttibili, perché trasmutabile, non è misurato dall'eternità, ma dal tempo. Il tempo infatti non solo misura le cose che attualmente si mutano, ma anche quelle che sono mutabili. Per cui non soltanto misura il movimento, ma anche la quiete, propria di ciò che è nato per muoversi, e che attualmente non si muove.

ARTICOLO 5

Sulla differenza tra evo e tempo

SEMBRA che l'evo non si distingua dal tempo. Infatti:
1. Dice S. Agostino che "Dio muove la creatura spirituale nel tempo". Ora l'evo si dice che è misura delle sostanze spirituali. Dunque il tempo non differisce dall'evo.
2. È essenziale al tempo avere il prima e il poi; essenziale dell'eternità è di essere tutta insieme, come si è detto. Ora, l'evo non è l'eternità, perché nella Scrittura si dice che la sapienza eterna esiste "avanti l'evo". Dunque non è tutto simultaneamente, ma ha un prima e un poi: e così non è altro che il tempo.
3. Se nell'evo non c'è prima e poi, ne viene di conseguenza che negli esseri eviterni (cioè misurati dall'evo) non vi è differenza tra l'essere presentemente, l'essere stati in passato, e l'essere nel futuro. Ma siccome non è più concepibile che gli eviterni non siano stati in passato, ne segue che sia cosa assurda che essi possano non esistere in futuro. Ciò che è falso, potendoli Dio annientare.
4. Siccome la durata degli esseri eviterni è infinita a parte post (cioè ha dinanzi a sé l'infinito), se l'evo è tutto intero simultaneamente, ne segue che qualche cosa di creato è un infinito attuale: il che è impossibile. Dunque l'evo non differisce dal tempo.

IN CONTRARIO: Boezio canta così: "Sei tu (o Signore) che comandi al tempo di scaturire dall'evo".

RISPONDO: L'evo differisce dal tempo e dall'eternità come qualche cosa di mezzo tra l'uno e l'altro. Ma alcuni autori assegnano così la loro differenza, dicendo che l'eternità è senza inizio e senza termine; l'evo ha inizio ma non termine; il tempo poi ha inizio e termine. - Ma questa differenza è puramente accidentale, come si è già notato, perché anche se gli esseri eviterni fossero sempre stati e sempre fossero per essere, come alcuni ammettono, o anche se venissero annientati, ciò che è possibile a Dio, l'evo si distinguerebbe ancora dall'eternità e dal tempo.
Altri invece assegnano come differenza tra queste cose il fatto che l'eternità non ha un prima e un poi; il tempo ha un prima ed un poi con innovazioni e invecchiamenti; l'evo ha un prima ed un poi senza innovazione ed invecchiamento. - Ma questa opinione è contraddittoria. Il che appare in modo evidente se innovazione e invecchiamento si riferiscono alla misura stessa (cioè all'evo e non agli eviterni), perché il prima e il poi della durata, non potendo essere simultaneamente, se l'evo ha un prima e un poi è inevitabile che, partendosene la prima parte dell'evo, quella che vien dopo giunga come qualche cosa di nuovo: e così ci sarà innovazione nello stesso evo, come nel tempo. E tale inconveniente rimane anche se (innovazione e invecchiamento) si riferiscono alle entità misurate. Infatti una cosa temporanea invecchia col tempo in quanto è trasmutabile: e dipende da questa trasmutabilità del misurato che nella misura (cioè nel tempo) ci sia un prima e un poi, come insegna Aristotele. Se dunque la stessa realtà eviterna non è soggetta a invecchiare e a rinnovarsi, è perché il suo essere è immutabile. Dunque la sua misura (di durata, ossia l'evo) non avrà né prima né poi.
Dobbiamo dunque dire che, essendo l'eternità misura dell'essere immutabile, un ente si allontana dall'eternità a seconda che si allontana dall'immutabilità nell'essere. Ora, alcune creature si discostano dall'immutabilità nell'essere in questo, che il loro essere è soggetto di trasmutazione, o consiste in una trasmutazione; e questi enti son misurati dal tempo, come è di ogni moto, nonché della sostanza delle cose corruttibili. Altre cose poi si scostano meno dall'immutabilità nell'essere, perché il loro essere né consiste nella trasmutazione, né è soggetto di trasmutazione: tuttavia hanno congiunta una certa trasmutabilità o attuale o potenziale. È quel che avviene nei corpi celesti, il cui essere sostanziale è immutabile; ma hanno un tale essere congiunto al cambiamento di luogo. Ciò è evidente anche negli angeli, perché per quanto riguarda la loro natura hanno l'essere immutabile, congiunto a una mutabilità negli atti liberi; e hanno anche mutabilità di intuizioni e di affetti, e, a loro modo, di luoghi. Per tale motivo essi sono misurati dall'evo, che sta tra l'eternità e il tempo. L'essere invece che è misurato dall'eternità non è mutabile in se stesso, né associabile a variazioni. - Così dunque il tempo implica un prima e un poi; l'evo non ha in sé né prima né poi, ma possono essergli annessi; l'eternità non ha un prima e un poi, né li comporta in alcun modo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le creature spirituali, quanto ai loro desideri e pensieri nei quali vi è successione, han per misura il tempo. Tanto è vero che S. Agostino nel passo citato spiega che muoversi nel tempo vuol dire avere una successione di sentimenti. Quanto al loro essere naturale, son misurate dall'evo. Quanto poi alla visione della gloria, partecipano dell'eternità.
2. L'evo è tutto insieme; ma non è eternità, perché è compatibile con un prima e un dopo.
3. Nell'angelo la differenza tra passato e futuro non è nel suo essere, ma solo rispetto alle mutazioni annesse. Ma quando noi diciamo che l'angelo è, o che è stato, o che sarà, si tratta di differenze dovute al modo di concepire della nostra intelligenza, la quale apprende l'essere dell'angelo in confronto alle varie parti del tempo. E quando (la nostra mente) dice che l'angelo è o che è stato, afferma una verità (talmente necessaria) che la stessa potenza divina non potrebbe conciliarla col suo contrario; quando invece dice che sarà afferma una cosa inesistente. Quindi, siccome l'essere e il non essere dell'angelo è soggetto alla divina potenza, Dio, assolutamente parlando, può far sì che non sia nel futuro; non può però far sì che non sia mentre è, o che non sia stato dopo che è stato.
4. La durata dell'evo è infinita nel senso che non è limitata dal tempo. Ora, ad ammettere qualche cosa di creato come infinito, nel senso di non limitato da qualche altra cosa, non c'è nessun inconveniente.

ARTICOLO 6

Se vi sia un evo soltanto

SEMBRA che non vi sia soltanto un evo. Infatti:
1. Nei libri apocrifl di Esdra è scritto: "La maestà e la potestà degli evi è presso di Te, o Signore!".
2. Diversità di generi richiede diversità di misure. Ora, alcuni eviterni sono d'ordine corporale, cioè i corpi celesti; altri sono sostanze spirituali, cioè gli angeli. Non vi è dunque un evo soltanto.
3. Siccome evo è nome di durata, cose che hanno un solo evo, hanno anche una sola durata. Ora, tutti gli esseri eviterni non hanno una sola durata; perché alcuni principiano ad essere dopo gli altri, come è chiaro massime delle anime umane. Non vi è dunque un evo solo.
4. Enti tra loro indipendenti non pare che abbiano una sola misura di durata: la ragione infatti per cui tutte le cose temporanee sembrano soggette a un unico tempo, è che di tutti i movimenti è causa, in qualche maniera, il primo moto, il quale per primo è misurato dal tempo. Ora, gli esseri eviterni non dipendono l'uno dall'altro; perché un angelo non è causa d'un altro angelo. Dunque non vi è un evo solo.

IN CONTRARIO: L'evo è più semplice del tempo e si accosta di più all'eternità. Ora, il tempo è uno solo. Dunque con più ragione l'evo.

RISPONDO: Su questo punto vi sono due opinioni: c'è chi dice che vi è un solo evo, e c'è chi dice che ve ne sono molti. Per sapere quale delle due sia la più vera, bisogna considerare donde deriva l'unità del tempo: perché alla conoscenza delle cose spirituali noi arriviamo mediante le corporali.
Dunque, dicono alcuni che per tutte le cose temporali vi è un solo tempo perché una sola è la serie dei numeri per tutte le cose numerate: infatti, secondo Aristotele, il tempo non è che numero. - Ma la ragione è insufficiente, perché il tempo non è un numero preso come astratto e separato dalle cose numerate, ma come ad esse inerente, ché altrimenti non sarebbe continuo: così dieci braccia di panno non sono continue a causa del numero (10), ma del numerato (cioè del panno stesso). Ora, il numero come si trova in concreto nelle cose numerate non è identico per tutte, ma diverso per ogni cosa diversa.
Quindi altri assegnano come causa dell'unità del tempo l'unità dell'eternità, la quale è il principio di ogni durata. E così, tutte le durate sono una cosa sola, se si considera il loro principio; ma sono molte, se si considera la diversità degli esseri che ricevono la loro durata dall'influsso della prima causa. Altri invece assegnano come causa dell'unità del tempo la materia prima, la quale è il primo soggetto del movimento, la cui misura è il tempo. - Ma nessuna di queste due spiegazioni è sufficiente, perché le cose che hanno in comune la causa o il soggetto, specie se remoto, non sono una cosa unica in senso pieno e assoluto, ma in senso relativo.
La vera ragione dell'unità del tempo è dunque l'unità del primo moto, il quale, essendo semplicissimo, regola tutti gli altri, come insegna Aristotele. Così dunque il tempo non sta in relazione con quel moto soltanto come la misura col misurato, ma anche come l'accidente col soggetto, e così riceve da esso la sua unità. Rispetto agli altri moti invece dice un rapporto solo come una misura al misurato. Per cui non si moltiplica col moltiplicarsi di essi, perché un'unica misura separata è buona per misurare innumerevoli oggetti.
Posto ciò, bisogna sapere che riguardo alle sostanze spirituali vi fu doppia opinione. Alcuni, come Origene, hanno sostenuto che tutte quante son derivate da Dio uguali tra loro; o, per lo meno, come altri han detto, molte di esse. Invece altri hanno detto che tutte le sostanze spirituali sono provenute da Dio secondo una certa gerarchia e con un certo ordine. Tale sembra essere il sentire di Dionigi, il quale asserisce che tra le sostanze spirituali vi sono le prime, le intermedie e le ultime, anche in un medesimo ordine di angeli. Secondo la prima opinione, dunque, è necessario dire che vi sono più evi, in quanto che vi sono più eviterni primi ed eguali. Invece secondo l'altra opinione bisogna dire che vi è un solo evo; perché, essendo ogni cosa misurata con ciò che vi è di più semplice nel suo genere, come dice Aristotele, è necessario ammettere che l'essere di tutti gli eviterni abbia per misura l'essere del primo eviterno, il quale è tanto più semplice quanto più eccelso. E poiché questa seconda opinione è la più vera come dimostreremo in seguito, ammettiamo fin da ora che vi è un solo evo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Evo, qualche volta, si prende per secolo, il quale è un periodo di durata di qualche cosa: ed in questo senso si dice che ci sono molti evi, come molti secoli.
2. Sebbene i corpi celesti e le creature spirituali differiscano nella loro natura generica; tuttavia convengono in questo, che tutti hanno l'essere intrasmutabile, e per questo hanno per misura l'evo.
3. Neanche le cose temporali nascono tutte insieme, e tuttavia hanno un unico tempo, perché la prima (di esse) è misurata dal tempo. Così tutti gli eviterni hanno un unico evo a motivo del primo tra essi, anche se non cominciano tutti insieme.
4. Perché più cose abbiano una stessa misura non si richiede che una sia causa di tutte le altre; basta che sia la più semplice.